Pratica universalmente diffusa, l'aborto è oggi legalizzato nella maggior parte dei paesi occidentali. Ciò gli ha consentito di entrare a far parte a pieno titolo dello spazio pubblico, ma parlarne resta un tabù che lo confina in uno spazio separato di ufficiosità più che di ufficialità. Dell'aborto si parla infatti da opposti schieramenti, ma solo per difenderlo o attaccarlo, operando una sorta di rimozione collettiva che lascia le donne più sole di quanto siano mai state. L'aborto, scrive Boltanski, deve restare nell'ombra perché rivela la contraddizione tra il principio dell'unicità degli esseri umani e il postulato della loro natura rimpiazzabile, senza il quale nessuna società si rinnova demograficamente. L'analisi di questo libro muove da un'impeccabile e documentata ricerca sul campo, basata su un centinaio di osservazioni e su quaranta colloqui approfonditi con donne che hanno vissuto l'esperienza dell'interruzione volontaria di gravidanza, intrecciando alle loro parole considerazioni di ordine storico e antropologico. Il problema che Boltanski pone non è se l'aborto sia o non sia legittimo, che è questione da non mettere in discussione, ma quali siano i vincoli simbolici che presiedono all'ingresso degli esseri umani nella società. Per questo la riflessione di Boltanski è essenziale: non possiamo più fingere che i cambiamenti recenti nelle modalità della generazione siano privi di conseguenze. Conseguenze che vanno discusse apertamente e senza preconcetti.
È possibile che la sociologia si impegni a descrivere e comprendere le ragioni morali delle azioni pur mantenendo la propria specificità di disciplina diversa dalla filosofia o dalla teologia? Di ciò è convinto Luc Boltanski nel rivendicare la necessità e il valore di una sociologia ‘morale’.
Dopo essersi occupato a lungo della giustizia e delle sue molteplici espressioni in ‘situazioni di disputa’, si rivolge a una realtà spesso lasciata in ombra dalle teorie dell’azione: gli ‘stati di pace’. Se è vero infatti che le relazioni sociali possono essere occasioni di conflittualità, è altrettanto innegabile che in molti casi l’agire degli individui si svolge in modo pacifico. In particolare, esiste un ‘regime di pace’ nel quale talune persone rinunciano a esercitare quel ‘do ut des’ che è alla base di un’idea retributiva di giustizia. È lo ‘stato’ in cui nessuno può rimpiazzare qualcun altro e la reciprocità delle azioni si sottrae alla sfera del calcolabile: le persone danno di più di quanto esiga in quel momento la situazione. È la logica del dono, del gratuito. Per spiegare tale sorprendente comportamento, l’autore riprende dal pensiero cristiano il concetto di agape, ovvero quella tensione tra amore e giustizia che rende possibile un mondo in cui degli esseri in pace siano sottratti all’obbligo di stabilire relazioni di equivalenza. L’agape di cui qui si parla non è quello teologico, fondatore del Regno di Dio – poiché è illusorio pensare a una società in cui l’amore plasmi diffusamente le relazioni. L’uomo, nell’agire concreto della vita, alterna momenti in cui dona per il piacere di dare, chiede giustizia o oscilla tra pace e disputa. Tuttavia, l’agape conserva la propria forza, e la sua presenza nella società degli uomini, per quanto modesta, è tutt’altro che trascurabile: rende ‘interessanti’ e vitali le nostre più ordinarie relazioni, le sospinge in avanti, dando respiro e speranza al vivere quotidiano.
Luc Boltanski, sociologo tra i più importanti nel panorama internazionale contemporaneo, è Directeur de thése all’École des Hautes Études en Sciences Sociales a Parigi e fondatore del GSPM (Groupe de Sociologie Politique et Morale). Tra le sue più recenti pubblicazioni si segnalano Le nouvel esprit du capitalisme (Paris 2000) e La condition foetale (Paris 2004).