Grazie al cinema, dall'indomani della prima guerra mondiale si compie il prodigio di trasformare il popolo americano- sconosciuto, selvaggio e stravagante, non nell'invasore barbarico, ma nel "prossimo tuo" da accogliere e amare come te stesso. E di creare una dipendenza diffusa dal sogno americano. Il libro esplora, insieme, le strategie pubblicitarie e le reazioni individuali e collettive alla "Marcia su Roma" delle Majors hollywoodiane dai primi anni venti. In generale viene descritta la parabola delle tecniche di advertising con cui Hollywood ha puntato a impadronirsi dei gangli emotivi e desideranti dello spettatore universale. Nello specifico si stabilisce un contatto ravvicinato con le strategie adottate in Italia e con lo spettatore italiano tra il 1922 e il 1938, dalle Majors e, in particolare, dalla Metro Goldwyn Mayer. "Il ruggito del Leone" ci fa rivivere le percezioni di mondi possibili per lo spettatore italiano tra le due guerre, in cui accanto ai profumi delle divinità hollywoodiane era possibile respirare anche i profumi della libertà.
"Il cinema italiano rinasce come campo di contraddizioni aperte, per qualche tempo assai produttive. Rinasce come autentico atto di fiducia in un enorme patrimonio intellettuale da scoprire e valorizzare. Rinasce perché l'attesa del momento in cui l'occhio della macchina da presa possa tornare a vedere tutto e a poter esplorare senza limitazioni il visibile si è consumata negli anni di guerra. I registi, per la prima volta nella loro storia, sono liberi di vedere e di guardare l'Italia e gli italiani non come mondi possibili, ma come dimensioni tutte da scoprire e osservare come un territorio vergine. Rinasce come frutto di un capitalismo privo di capitali, ma non privo di idee e a suo modo coraggioso e pieno di iniziative, che riesce a sopravvivere e a vivere delle briciole del mercato. Rinasce, infine, perché intende, almeno nelle ipotesi iniziali, coinvolgere il pubblico nell'operazione creativa e promuovendolo a soggetto creatore di storie e racconti." Gian Piero Brunetta indaga l'età dell'oro del cinema italiano nel dopoguerra, dalle vicende della produzione a quelle della censura e della critica, dai rapporti con la politica e l'America alle nuove poetiche del made in Italy che trasformeranno il cinema mondiale.
Il cinematografo arriva da noi nel 1896, a pochi mesi dall'invenzione dei fratelli Lumière, ma bisogna attendere il 1905 - con la proiezione romana del film che, in dieci minuti e sette quadri, ricostruisce la Presa di Porta Pia per festeggiare la nascita ufficiale del cinema italiano. Le nostrane "fabbriche delle films", come vengono chiamate, sono piccole imprese a conduzione familiare che cullano tuttavia ambizioni industriali. Nella scelta dei soggetti si attinge al meglio della letteratura, dell'arte e del teatro, e grandi nomi della cultura del tempo - uno su tutti, Gabriele D'Annunzio vengono coinvolti nell'ideazione di trame e musiche, o nella riduzione delle proprie opere. Le produzioni sono grandiose: "Quo Vadis?", "Marcantonio e Cleopatra", "Giulio Cesare", "Gli ultimi giorni di Pompei" e "Cabiria". Il cinema fa sognare, infiamma il patriottismo popolare alla vigilia della Grande Guerra, conquista il pubblico americano. Per le star italiane esplode l'età d'oro dell'adorazione universale.
La parola più ricorrente in tutti i tentativi di osservare l'insieme del cinema italiano dalla fine degli anni sessanta a oggi è "crisi". In effetti un grande cinema, che aveva raggiunto una produzione di centinaia di titoli in grado di esercitare una vera concorrenza sul piano internazionale con la produzione americana, dalla metà degli anni settanta subisce una serie di mutamenti strutturali che ne modificano profondamente economia, mercato, modi di produzione, modelli narrativi, tematiche e poetiche autoriali. Lo sguardo sul presente di molti registi italiani si offusca e vengono a mancare le chiavi interpretative e le certezze che avevano sostenuto il percorso comune dal neorealismo al boom economico. Nello stesso tempo, con un movimento irreversibile, la fiorente industria cinematografica viene fagocitata dalle televisioni pubbliche e private. Ne sono le conseguenze più importanti la scomparsa del cinema di genere, la chiusura di migliaia di sale di seconda e terza visione, il passaggio di molti registi alla televisione. Nel pieno della "crisi", tuttavia, alcuni caratteri identitari del nostro cinema sopravvivono e producono svolte positive. Autori come Olmi, Bertolucci, i fratelli Taviani, Ferreri, Scola, Leone, Argento raggiungono una definitiva consacrazione internazionale; emerge una nuova ondata di comici, da Verdone a Troisi a Benigni; si compie il ricambio generazionale degli attori.
Da 'Roma città aperta', attraverso 'Caro diario' e 'La vita è bella', fino alla 'Meglio gioventù': un panorama completo della nostra cinematografia che, dopo una lunga crisi, sembra aver ritrovato la sua anima e la sua identità. Gian Piero Brunetta è ordinario di Storia e critica del cinema all'Università di Padova. Ha scritto soggetti di programmi televisivi e di multivisione e collabora a riviste specializzate.
La storia del cinema italiano è una storia di storie che, in più momenti, ha orientato e modificato il corso del cinema mondiale e che oggi va studiata collocandola all'interno di un campo di forze internazionali. Una storia che ha cambiato in maniera profonda i modi narrativi, stilistici, espressivi e produttivi di molte cinematografie e da affrontare in una nuova ottica comparatistica, potendo contare su fonti filmiche e sulla loro facile accessibilità in una misura inimmaginabile solo qualche anno fa. Il percorso del volume di Brunetta tiene conto della micro e macrostoria, delle riscoperte e dell'opera di restauro e valorizzazione del patrimonio del cinema muto e di quello tra le due guerre.