Il tema dell'identità relazionale dell'essere umano, dal punto di vista antropologico ed etico, diventa, nell'attualità, una questione incalzante per cogliere la sua specificità irriducibile nell'ordine dei viventi. Tale identità istituisce dalle/delle/nelle/con/tra le relazioni, in quanto ogni umano nasce da una relazione originaria (verticale) in relazione con essa (filiazione-paternità-maternità), e si costituisce nelle trame relazionali originali estese (orizzontali), che si esprimono in una molteplicità di rapporti (fraternità/sororità-maschio/femmina-sposo/sposa-marito/mogliecittadino/cittadina-individuo/comunità, e altro ancora). Dato che queste trame contraddistinguono in un'apertura relazionale l'intero dell'umano, diviene necessario tornare a riflettere sulla sua dimensione relazionale, che si determina come categoria originaria e fondamentale dell'antropologico e dell'etico sia per la costituzione identitaria della soggettualità, sia per l'insieme complesso delle esperienze antropo-etiche che il soggetto concreta nelle forme pratiche della vita "tessendo" relazioni, le quali, non rimanendo sullo sfondo, hanno una profonda valenza strutturante il volume totale della persona.
Uno dei molteplici esiti particolarmente problematici che la modernità filosofica ha generato e consegnato alla posterità è stata la separazione della triade metafisica Dio-uomomondo. Essa ha originato fratture epistemologiche, ontologiche, antropologiche, etiche e sociali, determinando la comprensione dell'uomo come soggetto, che si esprime nell'autoaffermazione di sé, come unicità normativa e come unico punto di riferimento della realtà tutta, compresa la pensabilità di Dio. Il presente lavoro, partendo dalla consapevolezza che il pensare cartesiano costituisce una "necessaria inizialità" e una "singolarità senza analoghi", per la compresenza nel suo pensiero di tante virtualità, che si sarebbero sviluppate nell'evolversi delle varie fasi del moderno, fino ad arrivare all'attualità storico-culturale, intende rivisitare la proposta cartesiana, sia per i suoi punti di forza sia per quelli di debolezza, ai fini della definizione di ogni possibile "teoria" del soggetto. Questo perché l'attenzione all'ermeneutica della condizione umana intrapresa da Cartesio può diventare particolarmente significativa per riguadagnare l'affermabilità del soggetto, all'interno di un contesto che ne proclama la sua fine, proponendone una diversa definibilità che lo coglie come soggetto di relazioni in relazione.
La dimensione itinerante della condizione umana rende ragione del cammino della vita, che si compie attraverso tempi qualificati e non in puri istanti cronologici. Le parole che tessono la trama di questo libro intendono essere una testimonianza della «passione» per l’uomo, sollecitata, approfondita, maturata nei vari tornanti delle contingenze quotidiane, per intravedere qualche sfaccettatura significativa della «verità» dell’uomo che chiede di essere continuamente e prospetticamente cercata, manifestata e comunicata. Le pagine, che si snodano e chiedono di essere sfogliate, con delicatezza e attenzione e non distrattamente e superficialmente, coprono un ampio arco di vita, iniziato all’alba dell’età adolescenziale e permanentemente presente lungo il suo evolversi, fino all’attuale età «tarda adulta». La «passione» per l’uomo, «nonostante tutto», impone il «farsi carico» dell’umano, delle sue parole dicibili e dette, indicibili e inespresse, in tutta la loro insopprimibile inesauribilità.
Nel recente dibattito filosofico sta emergendo l'idea che le relazioni intersoggettive possono validamente essere considerate come il tratto costitutivo dell'umanità dell'uomo, della sua natura e identità. Tra i filosofi che, nel Novecento, hanno cercato di mettere a tema l'identità relazionale e intersoggettiva degli umani Maurice Nedoncelle, significativo protagonista del pensiero filosofico del XX secolo, è certamente un autore che offre rilevanti indicazioni per una comprensione della struttura relazionale della persona umana concretata in una dimensione compiutamente interpersonale ed espressa dalla categoria della reciprocità. Lo studio presenta la portata originale e feconda della prospettiva filosofica nédoncelliana, che riafferma l'inevitabilità del riferimento alla persona, significativamente colta nella relazione intersoggettiva come reciprocità d'amore.
L’acquisizione delle istanze provenienti dal “paradigma evolutivo” genera la possibilità di motivare, tra le tante proposte riflessive, anche il senso della moralità umana. Essa, essendo dimensione propria dell’agire umano, si definisce come costituente essenziale dell’umanità dell’uomo, perché è intrinseca al movimento stesso della sua esistenza, che nello scegliere il proprio progetto di vita sceglie, al contempo, la prospettiva dell’ordine della vita buona e riuscita. Una prospettiva che va oltre la semplice “voglia di vivere” per concretarsi nel “desiderio di essere”, che trova compiutezza nella fioritura dell’umano, la quale, nell’oggi, è il nome etico più adeguato a dire la “ricchezza antropologica”, nelle molteplici attuazioni creative nelle varie fasi delle età della vita. Le riflessioni contenute nel libro, cercando di delineare un’“etica fondamentale”, si pongono l’obiettivo di dare corpo ad un’“etica del compimento umano” come orizzonte di significato che rende ragione del passaggio evolutivo che va dall’ominizzazione all’umanizzazione.
Sulla spinta dell’impulso conciliare si è potuto assistere ad una crescente attenzione alla Chiesa locale, diventata chiave interpretativa dell'accadimento ecclesiale.
Il problema teologico che sorge è quello di determinare come ogni Chiesa sia veramente Chiesa di Dio che si sperimenta, nella concretezza della dimensione «locale», come «spazio» di salvezza. Il testo, utilizzando come strumento euristico la nozione di «continuum spazio-temporale» elaborato dalla teoria della relatività, intende riproporre la questione della Chiesa che si realizza nel luogo per la ridefinizione di un'ecclesiologia in prospettiva locale e per offrire criteri utili ai processi di Riforma della Chiesa nell'oggi.
In un'epoca, come l'attuale, caratterizzata da continui tentativi di eliminazione dell'umano e della sua dignità, da processi e pratiche orientate all'abuso e al sovvertimento delle sue grammatiche e sintassi fondamentali, la responsabilità etica del pensare il tempo che è dato da vivere è chiamata fortemente in causa. La necessità di pensare, responsabilmente, il proprio tempo costituisce, infatti, da sempre il tentativo di individuare una cifra in ordine alla ricerca della verità sull'essere e sull'agire umano per una convivenza plurale inclusiva, partecipativa e solidale. Per far fronte alla crisi che, principalmente, è di ordine antropologico, culturale ed etico, perché le conoscenze, i valori e i parametri di giudizio di cui ci si avvale nella quotidianità non sembrano essere più idonei a far vivere e comprendere il presente e ancor meno sembrano essere adeguati per la conoscenza del futuro, è urgente definire la responsabilità etica del filosofare, evitando sia un poco illuminato ritorno a forme e formulazioni tradizionali, immersi nella nostalgia di un passato vissuto e sperimentato come mitica «età dell'oro», sia lo «stare a guardare alla finestra» in attesa di tempi migliori, sia le strategie opportunistiche e faziose di adattamento al cambiamento, che si consumano nell'agonia dei logori meccanismi di potere più o meno occulti. Questo per superare l'imbarbarimento nefasto di logiche accattivanti, frutto di una irresponsabilità culturale che domina la scena pubblica in maniera scandalosa, indecente e senza pudore.
La necessità di tornare a formulare le esigenze etiche anche nel campo economico ha richiesto la rimessa in discussione della relazione tra etica ed economia. Un contributo significativo teso a conferire alla visione della «ricchezza» e dello «sviluppo» una declinazione antropologica ed etica è certamente quello di Amartya K. Sen, economista indiano, premio Nobel per l'economia nel 1998. Il confronto con la visione di Amartya K. Sen intende contribuire alla elaborazione di una proposta teorica in grado di rendere conto della prospettiva dello sviluppo umano sulla base di principi non esclusivamente economici.
In un contesto culturale in cui il «discorso» sull'uomo e sulla sua «verità» diventa sempre più difficoltoso e quanto mai altamente problematico, il «paradigma evolutivo» sembra costituire una chiave «euristica» ed «ermeneutica» idonea per esplicitare il senso dell'uomo come totalità bio-psico-spirituale e per identificare la sua singolarità e unicità nell'ordine dei viventi. I tentativi di «ri-pensare» l'uomo tra evidenze scientifiche e prospettive filosofiche, presenti in questo lavoro, risiedono nella volontà di ricercare e porre le premesse per uno sviluppo antropologico più rispondente all'umanità dell'uomo al fine di ri-articolare le strutture fondamentali dell'antropologico, sulla base di una prospettiva evolutiva. Il presente lavoro si colloca in continuità con i volumi Ri-pensare il mondo. Spazio-tempo, cosmovisioni e conoscenze, del 2001, e Ri-pensare Dio. Tra mutamenti di paradigmi e rimodulazioni teologiche, del 2016, dei quali costituisce la naturale contestualizzazione, esplicitazione e prosecuzione.
Il fenomeno del pluralismo culturale e religioso sfida le società tradizionali a realizzare il passaggio da forme di società multiculturali a forme interculturali, all'interno delle quali le identità culturali, etniche, religiose, sociali non entrino in conflitto, ma possano costituire lo sfondo a partire dal quale si possono organizzare profili di società e istituzioni democratiche comunicative, partecipative e solidali, in grado di garantire la convivialità delle differenze. Ciò rende particolarmente significativa la presenza delle religioni nelle società attuali, che rivendicano maggiore visibilità, riconoscimento ed efficacia pragmatica del loro messaggio. Non a caso il dibattito degli ultimi anni si è concentrato sul rapporto tra le religioni e le istituzioni democratiche, specialmente in ordine alla definizione di un «incontro» tra i contenuti e il linguaggio delle religioni e quelli delle ragioni pubbliche, al fine di realizzare e praticare la coesistenza plurale delle persone. Il presente lavoro affronta la questione dello statuto etico della traduzione cognitiva delle credenze che deve essere in grado di facilitare il dialogo tra credenti e non all'interno della sfera pubblica. Affinché tale dialogo possa concretarsi si impone la necessità di trovare nel "lògos" filosofico il medium della traduzione, il quale, incaricandosi di comprendere i differenti discorsi ("lógoi") degli altri, si connota come uso «pubblico della ragione» in grado di fornire «la ragione delle ragioni» dello stare insieme sociale, politico e religioso e di determinare l'ordine degli incontri tra gli umani, pur nel rispetto, accoglienza e valorizzazione delle reciproche differenze.