Le montagne esistono perché noi possiamo scalarle, possiamo camminarci, possiamo sciarci? Ha senso, in un ecosistema così fragile, perseguire un modello di sviluppo fondato sulla crescita, sull'aumento anno dopo anno di turisti e di impianti? Perché altre culture, dall'Himalaya alle Ande, hanno immaginato l'esistenza di montagne sacre, luoghi da cui l'uomo dovesse restare lontano? Cosa ci insegna questa idea di limite? Se sulle carte geografiche non esistono più spazi bianchi e inesplorati, in montagna non esistono più vette inviolate, in particolare sulle Alpi. Ogni anno, di pari passo con la scomparsa della neve, aumentano gli impianti di risalita a quote assurde e non si arrestano i disegni speculativi - dalla spinosa questione delle Cime Bianche sotto il Cervino ai progetti invasivi sul Sassolungo, nel cuore delle Dolomiti, agli impianti per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. Anche la cultura alpinistica, un tempo attenta a definire dei limiti per garantire il proprio futuro, sta accettando una sempre maggiore spettacolarizzazione e una competizione senza più vincoli. No limits. Contro questa deriva è nata, nel 2022, una proposta che ha scosso tutta la comunità alpinistica italiana: scegliere una cima - il Monveso di Forzo, tra la Val Soana e la Val di Cogne - e dichiararla 'sacra', impegnandosi a non salirla. Non calpestarne più la vetta. Una proposta che ha acceso un grande dibattito, dividendo il mondo degli ambientalisti e dei frequentatori della montagna. E non solo. Ma una cima non sottomessa ai capricci dell'uomo, sull'esempio di quanto avviene da secoli in Himalaya e sulle Ande, è la strada giusta per ritrovare il senso del limite che abbiamo perso? È così che la montagna può tornare a essere una maestra di vita?
Apparentemente algido e senza vita, il ghiaccio è un mondo a sé. Un mondo meravigliosamente vario, misteriosamente fuggevole e drammaticamente fragile che gli uomini hanno imparato a temere e ammirare nel corso dei millenni. Una esplorazione ancor più appassionante e necessaria nel tempo del riscaldamento climatico.
All’inizio degli anni Settanta nasce un movimento ribelle. Sono giovani contestatori dai capelli lunghi e dagli abiti irriverenti. Solo che alle piazze preferiscono le montagne e cercano in parete il loro altrove e un diverso rapporto con la vita e con la natura. Li chiamano i ragazzi del Nuovo Mattino e questa è lo loro storia, utopistica e tragica. Nei primi anni Settanta, tra Torino e il Gran Paradiso, le montagne cominciano a popolarsi di personaggi strani, lontani anni luce dalle figure tradizionali dell’alpinismo classico. Questi nuovi arrampicatori disprezzano il mito eroico dello scalatore duro e puro, il rito della vetta a ogni costo, della ‘lotta con l’Alpe’. Nel piccolo mondo dell’alpinismo è una frattura epocale che porta alla nascita di un vero e proprio un movimento ribelle, il Nuovo Mattino, che deriva dal 1968 i riferimenti culturali. Lo guida il torinese Gian Piero Motti, giovane colto e geniale, ottimo scalatore e autore di articoli forti. I contestatori cercano in parete il loro altrove, una verità complementare ma non conflittuale con l’esperienza urbana. Rifiutano i pantaloni alla zuava e li sostituiscono con jeans e maglietta. Aprono vie dai nomi simbolici: Itaca nel sole, Lungo cammino dei Comanches, La via della Rivoluzione. Ispirati dal mito dell’arrampicata californiana, trovano splendide pareti di gneiss a pochi minuti dalla strada della Valle dell’Orco e volando di fantasia le chiamano Caporal e Sergent, in risposta al leggendario Capitan della Yosemite Valley. Ma tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento gli eventi mettono brutalmente fine al rinascimento della scalata italiana. Era inevitabile? Perché è successo? Le storie di questo libro raccontano il passaggio dall’utopia del Nuovo Mattino alla materialità delle prestazioni sportive, dall’incertezza del sogno alle sirene del mercato. Disegnano la metafora della società italiana e di quello che siamo oggi. Nell’anniversario del 1968 spiegano la fine di un’epoca e ne abbozzano una nuova, più arrendevole e disincantata.
Nei secoli le Alpi sono state rifugio e megafono delle anime libere, contrarie e resistenti. Questo libro racconta la loro storia. *
La ribellione può declinarsi sotto forma di passione civile, di attacco a una parete inviolata, di movimento religioso, di giustizia sociale, e mira sempre alla conquista di una forma di libertà. Ciò che accomuna persone e movimenti in apparenza distanti come Fra Dolcino o Tina Merlin, per ricordare solo due delle figure disegnate con passione da Camanni, sta nella capacità di sfruttare le Alpi come luogo di riflessione in un percorso di rivolta costruttiva verso un ordine costituito. Fabio Minocchio, “L’Indice”
Camanni intreccia vari temi che hanno visto la montagna protagonista, ieri e oggi. Lo fa raccontando di montanari e di alpinisti che nei secoli hanno costruito sulle montagne rifugi di resistenza, avamposti di autonomia e laboratori di innovazione sociale. “Touring”
«Dietro il sogno si sale, senza sogni si cade»: questo il principio guida di Giusto Gervasutti. Seguendo questa stella polare, la vita di Giusto è un continuo viaggio verso ovest: dall'Austria all'Italia, dal Friuli al Piemonte, dalle Dolomiti al Monte Bianco. Nato a Cervignano del Friuli nel 1909, scopre le Alpi occidentali durante il servizio militare e se ne innamora perdutamente. A ventidue anni si trasferisce a Torino, portando con sé la tecnica e la mentalità del sesto grado. In poco tempo diventa il campione indiscusso dell'alpinismo italiano, insieme a Emilio Comici e Riccardo Cassin. Lo chiamano 'il Fortissimo'. Fa i conti con la dittatura fascista, il mito della montagna e la fabbrica degli eroi. Partecipa alle competizioni internazionali per la conquista delle pareti nord dell'Eiger e delle Grandes Jorasses, perdendole entrambe, ma si riscatta con imprese più estreme e visionarie. E l'alpinista più moderno della sua epoca, ma è anche un uomo colto ed elegante, incompatibile con la grezza retorica del regime. Il signore di Cervignano frequenta i salotti torinesi, i teatri e gli ippodromi, legge London, Conrad e Melville. È un cavaliere all'antica che anticipa il futuro. Muore sognando il Fitz Roy della Patagonia
Per tre anni e tre terribili inverni la Grande Guerra scaraventa migliaia di uomini sul fronte che dallo Stelvio e dall'Ortles scende verso l'Adamello, le Dolomiti, il Pasubio e Asiago. In quegli anni di fuoco, su 640 chilometri di ghiacciai, creste, cenge, altipiani e brevi tratti di pianura cadono circa centottantamila soldati. Le Alpi diventano un immenso cimitero a cielo aperto, sfigurate da una devastante architettura di guerra che scava strade e camminamenti, costruisce città di roccia, legno e vertigine, addomestica le pareti a strapiombo e spiana le punte delle montagne. Alpini e soldati del Kaiser si affrontano divisi tra l'odio imposto dalla guerra e l'istinto umano di darsi una mano, invece di spararsi, per far fronte alla tormenta e alla neve. Si ingaggiano piccole battaglie anche a tremilaseicento metri, ma la vera sfida è sempre quella di resistere per rivedere l'alba, la primavera, la fine della guerra, prima che la morte bianca si porti via le dita di un piede, o la valanga si prenda un compagno. Intanto, l'isolamento, il freddo, i dislivelli bestiali, le frane, le valanghe, la vita da trogloditi, la coabitazione tra soli uomini producono risposte sorprendenti, insolite collaborazioni umane, geniali rimedi di sopravvivenza e adattamento. Leggendo le storie di vita e di guerra raccolte in questo libro - crude e vere perché narrate dai protagonisti in prima persona attraverso le lettere e i diari - si scopre un mondo d'insospettata complessità e ricchezza.
Dalla leggendaria lotta di Guglielmo Tell, un filo sottile lega le terre alte alla tentazione della ribellione. In oltre settecento anni di storia, le 'Alpi libere' hanno avuto seguaci autorevoli e interpreti esemplari. Dagli artigiani eretici che si sacrificarono con Fra Dolcino ai piedi del Monte Rosa, ai partigiani che fermarono i nazifascisti sulle montagne di Cuneo e Belluno, fino ai movimenti contemporanei contro il treno ad alta velocità in Valle di Susa. Questo libro raccoglie le storie dei montanari e degli alpinisti che seppero disubbidire agli ordini, costruendo sulle montagne rifugi di resistenza, avamposti di autonomia e laboratori di innovazione sociale. Come una risorgiva carsica che emerge dalle profondità del tempo, la montagna si ricorda di essere diversa e fa sentire la sua voce fuori dal coro. Una vecchia idea, forse un'utopia, che non ha ceduto al consumismo delle pianure e rinasce di tanto in tanto in forme nuove e dirompenti. In mezzo al conformismo della maggioranza valligiana, si alza il grido di chi rivendica una diversità geografica e culturale, compiacendosi dell'antico vizio montanaro di sentirsi speciali e ospitare i diversi, i ribelli, i resistenti, gli eretici.
Prima di tutto, questa è la storia di una passione totalizzante; poi, è la storia di una disciplina in cui si uniscono amore, sfida, rischio, resistenza, tecnica e avventura. L'alpinismo - lo dice il nome - è nato e cresciuto sulle Alpi, dove si sono sperimentati per due secoli i materiali, le visioni e le tecniche della scalata. Sono state le Alpi il laboratorio mondiale della vertigine, il posto in cui crescevano i maestri e maturavano le idee poi esportate in Himalaya e sulle grandi montagne del pianeta. Nessun'altra catena montuosa ha prodotto tanta ricchezza di talenti, di progetti, di imprese, e non solo perché tutto è cominciato sul Monte Bianco nel 1786 ma soprattutto perché le Alpi sono diventate un crocevia internazionale di scuole e stili a confronto, generando una successione straordinaria di sogni, tentativi e conquiste. I 12 capitoli di questo libro ripercorrono i 12 gradi di difficoltà delle vie di arrampicata e il superamento dei grandi 'problemi' - dal Cervino alla parete nord dell'Eiger, fino alle grandi libere in Marmolada. Racconta questa storia di sfide e di tenacia Enrico Camanni e alterna la sua voce a quella dei numerosi protagonisti - da Petrarca a Quintino Sella, da Whymper a Preuss, da Comici a Messner, fino a 'Manolo', Steck e Destivelle - che hanno legato il proprio nome e spesso il proprio destino ai giganti di roccia e ghiaccio.
Per tre anni e tre terribili inverni la Grande Guerra scaraventa migliaia di uomini sul fronte che dallo Stelvio e dall'Ortles scende verso l'Adamello, le Dolomiti, il Pasubio e Asiago. In quegli anni di fuoco, su 640 chilometri di ghiacciai, creste, cenge, altipiani e brevi tratti di pianura cadono circa centottantamila soldati. Le Alpi diventano un immenso cimitero a cielo aperto, sfigurate da una devastante architettura di guerra che scava strade e camminamenti, costruisce città di roccia, legno e vertigine, addomestica le pareti a strapiombo e spiana le punte delle montagne. Alpini e soldati del Kaiser si affrontano divisi tra l'odio imposto dalla guerra e l'istinto umano di darsi una mano, invece di spararsi, per far fronte alla tormenta e alla neve. Si ingaggiano piccole battaglie anche a tremilaseicento metri, ma la vera sfida è sempre quella di resistere per rivedere l'alba, la primavera, la fine della guerra, prima che la morte bianca si porti via le dita di un piede, o la valanga si prenda un compagno. Intanto, l'isolamento, il freddo, i dislivelli bestiali, le frane, le valanghe, la vita da trogloditi, la coabitazione tra soli uomini producono risposte sorprendenti, insolite collaborazioni umane, geniali rimedi di sopravvivenza e adattamento. Leggendo le storie di vita e di guerra raccolte in questo libro - crude e vere perché narrate dai protagonisti in prima persona attraverso le lettere e i diari - si scopre un mondo d'insospettata complessità e ricchezza.
Prima di tutto, questa è la storia di una passione totalizzante; poi, è la storia di una disciplina in cui si uniscono amore, sfida, rischio, resistenza, tecnica e avventura. L'alpinismo - lo dice il nome - è nato e cresciuto sulle Alpi, dove si sono sperimentati per due secoli i materiali, le visioni e le tecniche della scalata. Sono state le Alpi il laboratorio mondiale della vertigine, il posto in cui crescevano i maestri e maturavano le idee poi esportate in Himalaya e sulle grandi montagne del pianeta. Nessun'altra catena montuosa ha prodotto tanta ricchezza di talenti, di progetti, di imprese, e non solo perché tutto è cominciato sul Monte Bianco nel 1786 ma soprattutto perché le Alpi sono diventate un crocevia internazionale di scuole e stili a confronto, generando una successione straordinaria di sogni, tentativi e conquiste. I 12 capitoli di questo libro ripercorrono i 12 gradi di difficoltà delle vie di arrampicata e il superamento dei grandi 'problemi' - dal Cervino alla parete nord dell'Eiger, fino alle grandi libere in Marmolada. Racconta questa storia di sfide e di tenacia Enrico Camanni e alterna la sua voce a quella dei numerosi protagonisti - da Petrarca a Quintino Sella, da Whymper a Preuss, da Comici a Messner, fino a 'Manolo', Steck e Destivelle - che hanno legato il proprio nome e spesso il proprio destino ai giganti di roccia e ghiaccio.