Con l'affermazione che il magistero della Chiesa non è al di sopra della Sacra Scrittura, ma al suo servizio, la Riforma protestante accende un dibattito che ha conseguenze sull'intero cristianesimo occidentale e sulla cultura europea della prima età moderna. Lo sforzo di procedere nel solco della teologia medievale, il vigoroso tentativo umanistico di privilegiare la Bibbia alle cerimonie e ai riti esteriori e l'applicazione pratica del principio del sola scriptura come unica fonte della rivelazione e norma della fede non sono tuttavia né semplici né pacifici. Se in campo cattolico questo tema diviene la prima questione teologica di peso affrontata al Concilio di Trento, con dibattiti accesi e prolungati, in ambito protestante si verifica un processo di identificazione tra Scrittura e Parola di Dio che produce l'effetto di considerare la Bibbia un libro ispirato persino nell'apparato di vocalizzazione del testo ebraico. L'insolita "battaglia delle vocali" che ne deriva scuote le Chiese riformate per oltre mezzo secolo e mostra i limiti e la grandezza del protestantesimo del Seicento nel mezzo di una transizione epocale dall'aristotelismo al cartesianesimo.
Assieme alle truppe italiane che il 20 settembre 1870 fecero il loro ingresso a Roma attraverso la breccia di Porta Pia c’erano anche due venditori ambulanti con un carretto carico di Bibbie, tirato da un grosso cane che portava nientemeno che il nome di Pio Nono. Per gli italiani quel giorno rappresentava il compimento di un lungo e travagliato cammino verso l’indipendenza e l’unità nazionali. Ma per coloro che, oltre a essere italiani, erano anche evangelici, l’evento assumeva un significato ancor più grande e suggestivo. Lo vissero come un passo decisivo verso la riforma religiosa del loro popolo, purché gli fosse data la possibilità di accedere liberamente alle Sacre Scritture.
Con questa premessa, l’autore ci introduce all’argomento di questo libro: il significato del termine «riforma» nella storia bimillenaria del cristianesimo. Spigola in alcune interpretazioni patristiche e soprattutto medievali della locuzione reformatio ecclesiae, si sofferma sull’uso che ne è stato fatto nelle controversie confessionali del XVI secolo e dell’età moderna, esamina il significato odierno del termine in una prospettiva ecumenica.
Sommario
Introduzione. I. La concezione medievale della reformatio ecclesiae. II. La reformatio ecclesiae nelle controversie teologiche del secolo XVI. III. L’aforisma ecclesia semper reformanda nell’età moderna. IV. Riforma e cattolicità della Chiesa. Uno sguardo indietro e uno avanti. Indice dei nomi.
Note sull'autore
Emidio Campi, professore emerito di Storia della Chiesa, già direttore dell’Istituto di Storia della Riforma dell’Università di Zurigo, è stato docente in Italia all’Università di Ferrara e alla Scuola Internazionale di Alti Studi «Scienze della cultura» di Modena, in Canada alla McGill University, negli Stati Uniti all’University of Nebraska e al Calvin College Grand Rapids, nonchè all’Hapdong Theological Seminary di Seoul. Ha svolto ricerche sulla Riforma protestante e sulla storia del cristianesimo dell’età moderna. È autore di numerosi studi sul protestantesimo riformato tra Cinquecento e Settecento. Per l’editrice Brill ha pubblicato opere di carattere più generale, tra cui Companion to the Swiss Reformation (2017) in collaborazione con A. Nelson Burnett, tradotto in tedesco e coreano. Con EDB ha pubblicato La battaglia delle vocali. L’autorità della Scrittura nel dibattito protestante (2013).