Data di pubblicazione: Gennaio 2020
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La mafia è storia di un intreccio osceno di interessi, affari comuni e favori reciproci con pezzi del mondo legale. Lungi dall’essere un nemico invisibile, è da sempre ben conosciuta anche dai governi del Paese. Un nemico addirittura, a volte, volentieri tollerato.
«Ci si può stupire se un mafioso chiede il pizzo a un negoziante? Se ricatta? Se uccide? È un mafioso, che cosa vuoi che faccia? Alla fine le mosse di un mafioso le puoi prevedere. È la gran parte ‘sana’ della società a essere imprevedibile e a fingere. Finge di non sapere, finge di non capire, finge di non potere, finge che quel che accade non la riguardi. Insomma, finge di essere ‘sana’. Finge così tanto che, forse, ci crede veramente. È una ‘associazione di finzione mafiosa’. Io non ho paura del mafioso, ho paura del mio vicino che finge di essere come me.»
PIF (Pierfrancesco Diliberto)
Oltre un ventennio ci separa dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio del 1992 e da quelle di Firenze, Milano e Roma del 1993. Una tragedia nazionale che sembrò scuotere definitivamente le coscienze e provocare una reazione finalmente determinata dello Stato contro la criminalità organizzata. Eppure, la mafia è tornata a essere molto forte. Per capire le ragioni del suo radicamento dobbiamo volgere indietro lo sguardo e ripercorrere una serie di tappe che dalla strage di Portella della Ginestra, il 1° maggio 1947, arrivano fino a oggi. Ricostruendo questa storia, Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte mostrano che le mafie non sono tanto il prodotto di una arretratezza economica e culturale, quanto di una caratteristica perversa della società e dello Stato italiani. Cosa nostra è una organizzazione criminale che ha affermato, troppo spesso in maniera indisturbata, la propria ‘sovranità’ di Stato illegale. Come tutti gli Stati, anche Cosa nostra ha una sua politica interna e un suo ordinamento giuridico. E ancora, come tutti gli Stati, pure Cosa nostra ha un suo sistema funzionale ed efficace di relazioni esterne. La mafia non va dunque affrontata come semplice fatto criminale: costituisce invece l’esplicazione di un modello inquinato e inquinante che ostacola lo sviluppo del Mezzogiorno e del Paese.
La mafia è storia di un intreccio osceno di interessi, affari comuni e favori reciproci con pezzi del mondo legale. Lungi dall’essere un nemico invisibile, è da sempre ben conosciuta anche dai governi del Paese. Un nemico addirittura, a volte, volentieri tollerato.
«Ci si può stupire se un mafioso chiede il pizzo a un negoziante? Se ricatta? Se uccide? È un mafioso, che cosa vuoi che faccia? Alla fine le mosse di un mafioso le puoi prevedere. È la gran parte ‘sana’ della società a essere imprevedibile e a fingere. Finge di non sapere, finge di non capire, finge di non potere, finge che quel che accade non la riguardi. Insomma, finge di essere ‘sana’. Finge così tanto che, forse, ci crede veramente. È una ‘associazione di finzione mafiosa’. Io non ho paura del mafioso, ho paura del mio vicino che finge di essere come me.»
PIF (Pierfrancesco Diliberto)
Oltre un ventennio ci separa dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio del 1992 e da quelle di Firenze, Milano e Roma del 1993. Una tragedia nazionale che sembrò scuotere definitivamente le coscienze e provocare una reazione finalmente determinata dello Stato contro la criminalità organizzata. Eppure, la mafia è tornata a essere molto forte. Per capire le ragioni del suo radicamento dobbiamo volgere indietro lo sguardo e ripercorrere una serie di tappe che dalla strage di Portella della Ginestra, il 1° maggio 1947, arrivano fino a oggi. Ricostruendo questa storia, Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte mostrano che le mafie non sono tanto il prodotto di una arretratezza economica e culturale, quanto di una caratteristica perversa della società e dello Stato italiani. Cosa nostra è una organizzazione criminale che ha affermato, troppo spesso in maniera indisturbata, la propria ‘sovranità’ di Stato illegale. Come tutti gli Stati, anche Cosa nostra ha una sua politica interna e un suo ordinamento giuridico. E ancora, come tutti gli Stati, pure Cosa nostra ha un suo sistema funzionale ed efficace di relazioni esterne. La mafia non va dunque affrontata come semplice fatto criminale: costituisce invece l’esplicazione di un modello inquinato e inquinante che ostacola lo sviluppo del Mezzogiorno e del Paese.