La caduta di Costantinopoli nel 1453 apparve ai contemporanei come un evento epocale. Mentre gli eserciti turchi sembravano ormai destinati a conquistare Roma e a instaurare un nuovo impero islamico, in tutta l'Europa dilagò un clima di terrore in cui presero a diffondersi profezie che annunciavano conseguenze terribili e perfino la fine del mondo. La caduta di Costantinopoli del 1453 nelle mani dei turchi segna la fine di un impero bimillenario e di un potere che si riteneva universale. È un evento epocale ma anche la fonte di sogni, di aspirazioni, di leggende e di profezie.
La caduta di Costantinopoli nel 1453 apparve ai contemporanei come un evento epocale. Mentre gli eserciti turchi sembravano ormai destinati a conquistare Roma e a instaurare un nuovo impero islamico, in tutta l'Europa dilagò un clima di terrore in cui presero a diffondersi profezie che annunciavano conseguenze terribili e perfino la fine del mondo. Con la conquista della capitale imperiale, il sultano Maometto II poteva, a buon diritto, sostenere di essere l'erede del titolo di imperatore romano, e perciò l'unico candidato a ricostituire l'antico impero. Questa volta sotto il segno dell'islam. A nulla valse la lettera di papa Pio II, in cui gli prometteva il titolo e le terre dell'impero romano d'Oriente, a patto che si battezzasse e abbracciasse il cristianesimo. Ciò non impedì, tuttavia, la circolazione della leggenda secondo la quale Maometto il profeta sarebbe stato non solo cristiano, ma papa in pectore. Segno di quanto forte fosse il desiderio di porre fine alle violenze e realizzare un dialogo interreligioso fra cristianesimo e islam.
«La violenza maritale è stato un elemento fisiologico e accettato del matrimonio, legalmente fino a tutto l'Antico Regime, socialmente ben oltre. E occorre ovviamente tener sempre presente che il 'sommerso' in questa materia fu – un tempo come e più di oggi – di enormi dimensioni, anche se le mogli d'Antico Regime non erano affatto inerti dinanzi alle vessazioni coniugali, e anche se le istituzioni medievali e moderne furono spesso tutt'altro che svagate nell'affrontarne gli abusi più eclatanti. Quel che resta di tanti 'inferni coniugali' nelle loro formulazioni giudiziarie rappresentò – un tempo come e più di oggi – la punta di un iceberg. Dietro alle mura domestiche si occultò un'infinità di violenze, talora gravi, talora modeste, talora nemmeno avvertite come tali e accettate con rassegnato fatalismo. Un certo modo di intendere la violenza coniugale è, sul piano formale, definitivamente tramontato, ma sulle leggi continuano a piovere le meteoriti sociali del vecchio ordine.»
Marco Cavina interpreta le fonti dottrinali (i teologi, i precettisti morali, i giuristi, i politici), consulta le fonti letterarie e quelle processuali, le confronta con la cultura dominante dal Medioevo in poi per esaminare gli ambiti nei quali maggiormente la violenza si è manifestata, facendoci scoprire l'anima nera del matrimonio dietro lo stereotipo tranquillizzante dell'armonia del focolare.
Dagli altari alla polvere, dalla monarchia dei padri alla monarchia dei figli. La parabola del potere paterno ha toccato oggi il suo minimo. È un dato ormai acquisito che la patria potestà sia 'politicamente scorretta: millenni di progettazione ed elaborazione culturale sono stati azzerati negli ultimi duecento anni e il 'padre di famiglia' appare definitivamente il fossile di un'altra epoca. I nuovi padri subiscono - soprattutto se separati discriminazioni e svantaggi, eredità paradossale e coatta della tirannide esercitata per millenni dai loro antichi predecessori. Ai presunti diritti del padre sono anteposti gli inalienabili diritti del figlio. In un saggio di ampio respiro, Marco Cavina traccia la storia plurisecolare della costruzione e del progressivo smantellamento di un mito fondante dell'uomo in società: il padre come colonna dell'ordine domestico e sociale; il padre come referente del potere politico e religioso; il padre come veicolo della tradizione e dell'esperienza fra le diverse generazioni.
Il duello barbarico, cioè il giudizio di Dio, in cui si coglieva nello scontro d'armi la sentenza della divinità; il duello in torneo, sospeso tra gioco, addestramento alle armi e regolamento dei conti; il duello d'onore, gudiziario o clandestino, espressione e privilegio del ceto nobiliare. Una storia ricca di episodi concreti spesso ricostruiti nei dialoghi originali.