"Entrai a piedi nella città, passai di fianco alle grandi carceri di San Vittore, diedi una benedizione e pensai: lì vivono migliaia di persone che devo andare a trovare." Con queste parole Carlo Maria Martini ricordava il suo ingresso a Milano il 10 febbraio 1980. Dalle visite in carcere che fece lungo tutto il suo mandato episcopale nasce la riflessione racchiusa in queste pagine: come e perché fare in modo che la pena sia giustizia ma anche ricomposizione? Marta Cartabia, presidente della Corte costituzionale, e Adolfo Ceretti, docente di Criminologia, si confrontano con il magistero di Martini spiegando il valore che esso continua a racchiudere e la necessità ancora viva di ciò che l'arcivescovo auspicava: una giustizia che ricucia i rapporti piuttosto che reciderli, promuova i valori della convivenza civile, porti in sé il segno di ciò che è altro rispetto al male commesso.
Il diavolo non esiste: il male è ovunque. Prende le forme di una ragazza di sedici anni che insieme al fidanzato massacra a coltellate la madre e il fratello undicenne; veste la divisa di un gruppo di poliziotti che commette rapine e omicidi a bordo di una macchina bianca nelle notti buie della via Emilia; possiede i baffi seducenti del più imprendibile e famoso bandito della Milano del dopoguerra. Quel male, quel diavolo sotto forma di mente criminale, Adolfo Ceretti lo ha studiato per tutta la vita. Ci è entrato dentro come in un tunnel senza fondo, ha toccato con mano le sue pareti oscure, ha fissato con occhi di esperto i suoi contorni inafferrabili. "Il diavolo mi accarezza i capelli è un'immersione" nelle memorie di un grande criminologo che lavora da anni a stretto contatto con i protagonisti di alcuni tra i più celebri casi di cronaca nera del nostro passato. Ceretti ci accompagna tra scene del delitto e carceri di massima sicurezza, mostra in modo intimo e diretto il suo lavoro sul campo, gli strumenti e le tecniche per entrare in rapporto con i sospettati superandone le difese e la diffidenza. Dall'omicidio Calabresi alle Brigate rosse, da Prima linea alla Uno bianca, il suo è un racconto personale, sempre intenso e libero da pregiudizi, che si intreccia con la storia d'Italia e affronta i grandi traumi della nostra coscienza collettiva. Quella che Adolfo Ceretti ripercorre è la ricerca di tutta una vita: il tentativo di muoversi lungo il confine che separa le vittime dai carnefici, per trovare i punti di contatto tra le due parti, per capire che cosa trasforma una persona in un criminale e com'è possibile riabilitarsi. Un viaggio attraverso lo specchio del diavolo per riuscire ad abbracciare il nostro riflesso più nero.
A fronte delle continue proposte di aumentare le pene, di incrementare la presenza e la visibilità delle forze di polizia e di adottare una politica di rigore nei confronti del degrado e delle inciviltà, di cui gli stranieri sarebbero i principali portatori, la sensazione per chi studia la "questione criminale" è che pochi opinion leader possiedano una conoscenza approfondita del campo penale, vale a dire di quella rete di istituzioni e di varie forme di relazioni supportate da agenzie, ideologie, pratiche discorsive, tra cui i saperi criminologici, sociologici, psichiatrico-forensi. Il dibattito pubblico si sviluppa infatti attorno a espressioni che, sebbene richieste dal codice politico bipartisan e invocate dalle proteste di piazza (mediatica), non sono in grado nemmeno di cogliere quali siano i problemi di insicurezza, convivenza e ordine caratteristici della vita nelle città. Questo libro intende contrastare la tendenza diffusa ad adagiarsi su soluzioni preconfezionate in un dibattito pubblico sclerotizzato, fornendo in modo semplice e chiaro alcuni spunti di riflessione sulla dimensione penale che possono essere utili come armamentario argomentativo per chi si interessa di politica. È un saggio di "criminologia politica", che approfondisce i fondamenti delle attuali politiche di sicurezza allo scopo di orientarle in senso democratico, in funzione di un progetto di società civile e aperta che sappia andare oltre la dimensione della paura nella convivenza.