A 25 anni Agastya pensa di sapere tutto sull'India. In fondo non si è mai mosso da lì, ha generazioni di bengalesi purosangue alle spalle e suo padre è uno stimato governatore. Perfino il nome che porta, ispirato dal Ramayana, è la quintessenza dell'indianità. Che poi gli amici lo abbiano sempre chiamato English - l'Inglese - è tutt'altro affare. Con il suo inseparabile Marco Aurelio, i dischi di Ella Fitzgerald, il jogging mattutino e un costante male di vivere tipicamente occidentale, Agastya non sospetta cosa sta per succedergli, quando ottiene un posto da funzionario nello Ias, la pachidermica macchina amministrativa indiana. Niente di ciò che ha vissuto o letto lo ha preparato a Madna, il rovente paesino del Sud dove viene spedito per il tirocinio. Improvvisamente circondato da una folla di burocrati, svitati e perditempo, alla mercé di un cuoco misteriosamente incapace di comprendere l'elementare concetto della bollitura dell'acqua, stremato da una canicola tropicale e da un muro impenetrabile di spleen, Agastya scopre poco alla volta che quasi nulla di ciò che credeva di sapere sull'India - o su stesso corrisponde al vero.