Henri Cartier-Bresson (1908-2004) viene unanimemente considerato uno dei più grandi fotografi del Novecento. Negli ultimi dieci anni della sua lunga vita smise di fotografare, dedicandosi al disegno e alla pittura: "Ho così ritrovato" scrisse "la mia vocazione originaria e chiuso definitivamente la "parentesi" della fotografia". Una parentesi che è durata cinquant'anni e i cui risultati, nel campo del reportage e della ritrattistica, gli hanno valso una straordinaria fama mondiale. Il patrimonio delle sue immagini rappresenta ormai una pietra miliare: dopo Cartier-Bresson non si può essere fotografi senza rapportarsi - per imitazione o contrapposizione - alla sua opera. Questi tre saggi del critico Jean Clair, suo amico e ammiratore, sono un omaggio all'uomo e all'artista. Nel secondo di essi, Clair approfondisce il rapporto tra la grande opera fotografica di Cartier-Bresson e la sua produzione di disegni a cui consacrò gli ultimi anni della propria vita, e in tal modo affronta e illumina il grande e controverso problema del rapporto tra fotografia e pittura. Il libro è corredato dalle riproduzioni delle fotografie di Cartier-Bresson - alcuni dei suoi capolavori -, che Jean Clair analizza.
In fondo, non si può dire nulla della sensazione, se non che colma. Ma quale vuoto riempie? In una serie di digressioni apparentemente capricciose, creando una fitta rete di rimandi fra un tema e l'altro, la narrazione di Clair si muove fra la statua di marmo di Condillac e le cere della Specola di Firenze, il clavicembalo di Diderot e un sexy shop della rue Saint-Denis, un'incisione di Rembrandt e un dipinto di Vermeer. Un libro che segue le tracce del sapere fondato sui sensi.