Il libro ricostruisce la storia dell'etica occidentale, cioè la successione di diverse teorie etiche che si sono formate e modificate nel tentativo di giustificare o riformare tradizioni morali che i filosofi non avevano creato dal nulla. Per questo motivo esamina non soltanto autori che hanno un posto ragguardevole nelle storie della filosofia (Aristotele, Kant, Hegel) ma anche testi trattati nelle storie delle religioni (Bibbia, Talmud, Corano) e altri pensatori ritenuti poco filosofici (Pufendorf, Adam Smith, Bentham). Letti in questo modo, i moralisti sembrano meno insopportabili: Tommaso non è il teorico delle proibizioni assolute, Kant non è un caporale prussiano della morale, Bentham non è il fautore di una deteriore dottrina che combina edonismo, egoismo e relativismo.
Il volume narra la storia dell'etica del Novecento o, più precisamente, la storia della discussione sui fondamenti dell'etica iniziata con Nietzsche e Sidgwick, i maggiori esponenti dello scetticismo morale di fine Ottocento. La discussione ha visto predominare, nella prima metà del secolo, tendenze che negavano la possibilità di un'etica normativa. Nel mondo continentale la tendenza dominante trasformava l'etica in una filosofia dell'esistenza che si limitava a descrivere la condizione umana come fatta di scelte, tanto inevitabili quanto arbitrarie, senza saper dare però criteri per compierle. Nel mondo anglosassone prevaleva una filosofia della morale che si proponeva di chiarire le valutazioni ma non di giustificarle.