Hegel, l'imponente filosofo, snodo fondamentale del pensiero dell'Occidente, ha sempre suscitato le mie resistenze. Non tanto per un'ostilità, quanto perché il suo formidabile sistema si annunciava come la fine di un'epoca. Ma Hegel spariglia sempre le categorie in cui i suoi lettori intendono rinchiuderlo. Il suo pensiero non si offre con facilità, ma invita il lettore a confrontarsi non tanto con ciò che Hegel afferma, quanto con il percorso in base a cui Hegel arriva a dire ciò che dice. Questo è il metodo che il filosofo propone: confrontarsi con una verità che è generata, che si fa in una storia; il prima e il poi non costituiscono una semplice successione, ma un movimento di cui non dominiamo completamente l'origine e la legge. Intorno a questa idea di verità lavorano le pagine di questo libro, suscitate dalla commozione per lo stile hegeliano, in quanto esso non riposa sulla presunzione di un possesso cosciente di sé e della realtà, ma sul riconoscimento di una lacerazione e di un negativo come strutture dell'io. La lettura di Hegel è anch'essa presa in questo spiazzamento continuo, in questa storia non lineare: alterità all'opera nel pensiero, processo che si genera nello spazio di un probabilmente.
Scopo di questo volume è affrontare una coppia di termini (razionalità e nichilismo) che evoca subito il problema della sfiducia nella razionalità, cioè nello strumento che l'uomo ha a disposizione per orientarsi e prendere delle misure nel mondo. Tale sfiducia nella ragione si produce generalmente in momenti di crisi, sia a livello morale, sia sociale, sia a livello della struttura del sapere. Il libro intende porre la questione del nichilismo a confronto con la concezione occidentale della ragione, in cui ha influito il linguaggio giudaico cristiano e in cui non è solo importante la domanda, ma chi la fa e per chi la fa. Gianfranco Dalmasso è professore ordinario di Filosofia Teoretica presso l'Università di Bergamo.
Come uscire da una concezione nichilistica del segno, quale funzione attiva della parola, è un problema generale dell'orizzonte ermeneutico della filosofia contemporanea che può apparire rinchiuso fra finitezza e impasse della razionalità. L'autore intende spiazzare i termini del dibattito e mettere a fuoco il problema dell'origine del senso come rapporto dell'io che parla con il suo discorso. Rimette in discussione il rapporto tra ethos e logos che caratterizza la razionalità occidentale, individuando il funzionamento dell'ethos all'interno della struttura stessa della razionalità.