Brucia la città, bruciano le passioni. Nella notte di Roma, non c'è misericordia per nessuno. Dove è Suburra, comincia la notte di Roma. Il giovane Sebastiano ci prova, a reggere le fila di un regno del crimine. Ma se il re è lontano, gli incidenti capitano. E il Samurai è molto lontano. Chiara ci prova, a ben governare. Ma se il cuore è troppo scoperto, magari ti innamori di chi nemmeno vorresti guardare in faccia. E gli incidenti capitano. Adriano Polimeni ci prova, con un monsignore di buona volontà, a guardare in faccia il pericolo. Troppo da vicino, forse. Si accende la guerra che tutti vedono, continua quella che non vede nessuno, la più feroce. La lotta stavolta è per salvare l'anima.
Con il maldestro, coraggioso, contraddittorio Emiliano di Saint-Just, chiamato a investigare su efferate uccisioni, opera di uno sfuggente criminale che somiglia a un diavolo, Giancarlo De Cataldo ci trasporta in una Torino divisa tra slancio progressista e reazione, nuove tecnologie e vecchi pregiudizi, inconsueta per l'occhio di oggi, ma nella quale è facile ambientarsi per la naturalezza e la precisione dei dettagli: da una nuova grande piazza appena costruita alla mefitica paludosa Vanchiglia, a un gran ballo a Palazzo Carignano, a un dinamicissimo Ghetto dove gli ebrei combattono per non diventare il capro espiatorio della rabbia e della paura di tutti. E sotto i nostri occhi, mentre un Cavour infuriato rischia di esser preso a bastonate dal reazionario duca di Pasquier, e le alte sfere consigliano al giovane carabiniere di cercare il colpevole preferibilmente negli strati più bassi e "infami" della città, impartendogli una lezione di modernissimo controllo sociale, si svolge una vorticosa, molto attuale commedia umana. Le opposizioni private e pubbliche di gelosia e amore, obbedienza e libertà, viltà e coraggio, politica e crimine, tipiche del futuro carattere nazionale degli italiani, fanno qui le prove generali, come a teatro. E il Diaul, che sia un mostro malvagio, un assassino seriale o la pedina di un complotto politico, diventa la cifra, il luogo geometrico delle contraddizioni di tutti. Senza smettere di far paura, tutt'altro.
Una Roma lunare e sguaiata scenario di una feroce mattanza. Un Grande Progetto che seppellirà sotto una colata di cemento le sue periferie. Due vecchi nemici, un bandito e un carabiniere, che ingaggiano la loro sfida finale. Intanto, mentre l'Italia affonda, politici, alti prelati e amministratori corrotti sgomitano per partecipare all'orgia perpetua di questo Basso Impero criminale.
Esistono uomini talmente smisurati, complessi e contraddittori che sembra impossibile raccontarli. Per esempio, come si racconta la vita di uno come Sandro Pertini, che ha attraversato da protagonista tutte le stagioni del Novecento italiano? Da dove si parte: dal giovane soldato in azione tra le trincee della Prima guerra che, pur contrario al conflitto, combatte furiosamente e conduce i suoi soldati in imprese al limite della follia? Dal militante socialista, picchiato e bandito dal fascismo, che al fianco di Turati fugge dall'Italia su un motoscafo nel mare in tempesta? Oppure dal partigiano che, dopo quattordici anni fra carcere e confino, diventa intransigente giustiziere di camicie nere? O magari dall'ultima fase, dall'immagine benevola del vecchietto con la pipa? Rispondere a queste domande è la sfida del Giancarlo De Cataldo protagonista di questo libro. Sfida doppia, perché da un lato è chiamato a sceneggiare un film sul "Presidente di tutti gli italiani", dall'altro cerca di spiegare a suo figlio tredicenne la grandezza di quell'uomo, e il contrasto, doloroso, tra passato e presente. Ma per lui il combattente Pertini è qualcosa di più: è un'affinità elettiva, è l'integrità che illumina la lunga notte del regime e della prima repubblica, è l'orgoglio delle idee, è la furia della battaglia. E l'eroe incorruttibile, libero, severo, ma anche guascone e maldestro, che tutti noi vorremmo avere accanto.
Una Roma lunare e sguaiata scenario di una feroce mattanza. Un Grande Progetto che seppellirà sotto una colata di cemento le sue periferie. Due vecchi nemici, un bandito e un carabiniere, che ingaggiano la loro sfida finale. Intanto, mentre l'Italia affonda, politici, alti prelati e amministratori corrotti sgomitano per partecipare all'orgia perpetua di questo Basso Impero criminale.
Sulle tracce di vecchie suggestioni lasciate dai Misteri della jungla nera di Emilio Salgari, Giancarlo De Cataldo parte per l'India del nord alla ricerca di un mondo di avventure estreme. Ma fallisce nel suo tentativo di provare il brivido della natura selvaggia nell'unico parco in cui forse ancora si aggira, schiva, qualche rara tigre. E invece che dai Thugs sanguinari, dovrà guardarsi dalla folla di mendicanti avidi di qualunque cosa un turista possa offrire. Di fronte a una realtà che si ostina a mostrarsi diversa da quella che dovrebbe, l'unica soluzione possibile è una resa incondizionata. È allora che il viaggiatore viene risucchiato dalla precaria simultaneità indiana dove passato e futuro si intrecciano in un presente improbabile; dove le donne sono il primo motore e le prime vittime della modernizzazione, mentre divinità ancestrali contendono ad ammiccanti stelle del cinema il cuore dei fedeli; e il ricordo della non violenza gandhiana sbiadisce davanti all'avanzata del nazionalismo hindu. Dopo la resa, il viaggio, spogliato da ogni vezzo da turista, porta con sé la nudità dell'esperienza. E l'anima si schiude, lascia le sue ferite risalire verso la foce di ogni sentimento, di ogni dolore.
La cocaina. Muove capitali immensi, costruisce imperi, distrugge, ricrea e plasma le coscienze. Rende tutti un po' più criminali. La cercano sia gli operai in fila all'alba in attesa di ingaggio nelle città del Nordest, sia l'insospettabile compagna o compagno della tua vita. In tempi di crisi, è generosa con chi sceglie di servirla. Ci segue come la nostra ombra, così evidente e normale che nessuno più la vede. E allora serve la letteratura per renderla di nuovo visibile. Tre storie che rimandano l'una all'altra, tre facce diverse e complementari dello stesso cristallo. Tre scrittori al meglio delle loro capacità, che ci divertono, turbano e costringono a riflettere.
Roma, 1976. Un anno prima che tutto accada. Il Libanese freme. Il Libanese ha tre amici, Dandi, il Bufalo, Scrocchiazeppi. Passa con loro da un colpetto all'altro, tiene le armi delle altre bande. Il Terribile, che aspira a diventare il capo dei capi, tratta lui e gli altri pischelli come miserabili. Ma il Libanese non è uno dei tanti. Il Libanese ha un sogno. Un sogno ancora troppo grande per lui. Poi, una sera, il Libanese incontra Giada. Lei è bella, ricca, inquieta. Lei vuole cambiare le cose. Lei vuole fare la rivoluzione. Giada appartiene a un altro mondo. Il Libanese ne è stregato. E nello stesso tempo comincia a intuire che proprio da quel mondo potrà venire l'idea che gli permetterà di rendere il suo sogno una realtà. È grazie a lei, inconsapevole guida, che il Libanese penetra nel mondo dei ricchi, prima come pusher di un grande artista schiavo dell'eroina, e poi organizzando, con i suoi compari, un primo sequestro di persona (preludio di quello che segnerà, appena pochi mesi dopo, la nascita della Banda): il sequestro di un ricchissimo palazzinaro, padre di Sandro, l'amico del cuore di Giada...
Giuseppe Mazzini, il maestro, Felice Orsini, il terrorista, Carlo Pisacane, il terrone: il Risorgimento, i furori, gli arresti, i sogni, i tradimenti, le bombe, le amicizie di un'avventura rivoluzionaria.
Il giudice Efisio Surra è catapultato da Torino a Montelusa, e con il suo candore e la sua tenacia vince la prima battaglia dell'Italia unita contro la Fratellanza, non ancora "Maffia". Un giudice ragazzina si trova di colpo ridotta in clandestinità, nel bel mezzo di una guerra senza esclusione di colpi, alla fine degli anni Settanta. Un procuratore duella da una vita con il molto spregiudicato sindaco di Novere, e da una vita perde: fino a quando non capisce che il duello non era ad armi pari. Tre grandi scrittori di oggi mettono al centro della loro osservazione la figura, carica di conflitti e tensioni, di chi ha scelto nella vita di amministrare la giustizia, per conto di tutti noi. E si collegano a una tradizione che va da Manzoni a Sciascia, da Dostoevskij a Kafka.