Il 13 aprile 1955 Pier Paolo Pasolini invia a Livio Garzanti il dattiloscritto di "Ragazzi di vita". Crede di aver chiuso i conti con quel romanzo che aveva tanto faticato a prendere una forma e si riserva di apportare giusto qualche minimo intervento più avanti, in bozze. Non andrà così. In maggio Pasolini scrive a Vittorio Sereni di trovarsi fra le mani «bozze mezze morte, da correggere e da castrare»: Garzanti è stato preso da «scrupoli moralistici», «si è smontato». Troppe parolacce, troppa violenza, troppe situazioni spinte. Troppe bestemmie. Troppe pagine che sembrano fatte apposta per portare dritti in tribunale. È un vero ultimatum: o il romanzo si taglia e si corregge, o non si fa. Questo studio racconta, dopo alcuni necessari antefatti, la storia dei «giorni atroci» dell'autocensura. Con il marchio di Garzanti, e con il titolo Ragazzi di vita, i lettori conosceranno un romanzo che aveva cambiato temperatura, ed era diventato, di fatto, un altro libro.