Un libro di storie sui nostri tic, sui cliché che ci portiamo dietro, sulle nostre paure e passioni; un viaggio nello spazio e nel tempo in cui l'attualità si mescola alla storia, la vita vera alla letteratura. Protagonisti di questi racconti sono individui anonimi e personaggi illustri, scrittori, artisti, intellettuali. C'è la baronessa di Carini, che nella Sicilia del XVI secolo viene uccisa perché trovata a letto col suo amante. C'è una ricca americana che spende tutti i suoi beni per venire in Italia a imparare il belcanto e c'è il latin lover di provincia che mostra il petto villoso. C'è la signora Grosso che per qualche mese è al centro dell'attenzione dei media per aver predetto l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy. C'è Melville che cammina per le strade di Roma fiaccato dall'aria malsana della capitale e c'è Goethe che si commuove ascoltando i gondolieri cantare lungo i canali di Venezia. Un insieme di racconti a definire l'italianità, a sfatare i sacri valori italici perché, come scriveva Orte-ga y Gasset, il carattere nazionale, come ogni cosa umana, non è un dono innato, ma una costruzione.
Il Novecento è stato il secolo delle «adunate», ma anche dei «comizi», il secolo degli «alternativi» e dei «compagni». È stato il secolo delle «epurazioni», ma anche della «emancipazione», della «Contestazione» e delle sedute di «autocoscienza». Nel Novecento c'era ancora il «Piccì». E da una parte stavano i «padroni», dall'altra i «proletari». Un secolo affastellato di eventi e di oggetti: la macchina da scrivere, il juke-box, il flipper. Si andava a letto prima del Carosello e le signorine snob si scatenavano nel «Palais de Danse» a Londra. Cento parole per riannodare le maglie di un secolo, attraverso le testimonianze degli scrittori e le cronache del tempo. Un catalogo di parole disabitate, uscite dal linguaggio quotidiano per disaffezione o perché passate di moda. Parole spesso abusate e poi diventate fantasma. Scrive Paolo Mauri nella prefazione: «L'operazione non è univoca e nemmeno indolore. Si ricorda con piacere, ma spesso con rabbia o con malinconia».