La crisi dell'euro, l'arrivo in Europa di milioni di rifugiati e migranti, gli attacchi terroristici nel cuore delle città europee, infine la Brexit, i crescenti populismi e nazionalismi, le eurofobie, l'impatto della presidenza Trump sugli equilibri geopolitici alla base del progetto di integrazione. A partire dal 2008 l'Unione ha affrontato sfide senza precedenti con un assetto legale e istituzionale che alla prova si è rivelato drammaticamente inadeguato. Se vogliamo dare nuova forza all'Unione, l'idea di una misura che vada bene per tutti va messa nel cestino: è necessario separare gli stati che hanno una ragione strutturale per aggregarsi politicamente (come è il caso dei paesi dell'Europa continentale e occidentale) e gli stati che hanno invece un esclusivo interesse economico per il processo di integrazione (le isole e penisole del Nord, gli stati dell'Est). Il primo gruppo dovrà procedere verso una vera e propria unione federale con una base politica e costituzionale e perseguire l'obiettivo "di un'unione sempre più stretta"; il secondo gruppo potrà invece basarsi su un trattato interstatale puramente funzionale. Due Europe quindi collegate nel mercato unico. Solo così sarà possibile portare l'Unione Europea fuori dalla sua crisi esistenziale.
La buona democrazia necessita di leader che sappiano "mettere le mani negli ingranaggi della storia", diceva Max Weber, ma deve anche preoccuparsi che lo facciano per migliorare, e non per peggiorare, il suo procedere. Negli ultimi anni, sostenuta dalla personalizzazione della politica, dal ridimensionamento del ruolo dei partiti e dall'importanza crescente della politica internazionale, si è registrata una formidabile ascesa decisionale dei leader degli esecutivi. Le esperienze di governo di Tony Blair, Nicolas Sarkozy, Silvio Berlusconi e Barack H. Obama dividono in modo radicale l'opinione pubblica e scientifica. Sergio Fabbrini analizza le caratteristiche della leadership odierna e conduce una riflessione sulla natura del potere dei leader democratici, sulla democrazia liberale e i suoi dilemmi. Se impedire l'ascesa del principe è sbagliato, prima ancora che irrealistico, addomesticare quell'ascesa è possibile, prima ancora che necessario. È tempo, quindi, di elaborare una cultura politica del governo democratico adeguata alle nuove sfide che si profilano all'orizzonte.
Quando si parla di democrazia, in senso empirico, occorre intendersi: non c'è una sola "democrazia", ma ce ne sono molte. Nessuna è superiore all'altra per definizione. Questo manuale non è un libro sulla democrazia, sul piano teorico, ma sulle democrazie, cioè su come funzionano, come sono organizzate e governate, in cosa differiscono tra loro. L'autore prende in esame solo le democrazie consolidate, ovvero da tempo stabilmente democratiche: si occupa dunque delle ventitré democrazie occidentali, più il Giappone e l'Unione Europea nel suo complesso. Dallo studio delle diverse soluzioni adottate, emerge come le più importanti democrazie della contemporaneità siano strutturate secondo tre grandi modelli: democrazie competitive, ovvero basate sull'alternanza di governo; consensuali, basate sull'aggregazione al governo di diverse opzioni politiche; composite, basate sull'equilibrio tra istituzioni separate. Fabbrini passa in rassegna le democrazie contemporanee nei loro tre principali livelli di organizzazione: quello dei sistemi elettorali e dei partiti, dei sistemi di governo e della distribuzione territoriale del potere. L'ottica comparata in cui viene svolta l'analisi consente di capire le modalità concrete attraverso cui una democrazia differisce dalle altre, e di risalire alle cause storiche di queste divergenze.
Questo volume tratta la transizione del regime, ovvero il passaggio da un modello di democrazia ad un altro. Il cambiamento politico italiano risulta schiacciato tra le pressioni che il processo di integrazione europea e di modernizzazione del paese continuano a generare. La forma istituzionale che continua ad organizzare la politica italiana non corrisponde più alla realtà: i partiti sono stati costretti a cambiare così come i governi hanno dovuto realizzare politiche pubbliche innovative ma non si è verificato un cambiamento istituzionale coerente con il nuovo modello di democrazia bipolare.