Il taccuino nepalese di Jacopo Fasolo è ben di più che un semplice libriccino per appunti di viaggio: il suo viaggio è non solo scoperta di luoghi e di civiltà ma anche irrinunciabile e insopprimibile esigenza di fermare per un attimo le proprie emozioni e di cercare di trasmetterle a se stesso e agli altri. Ogni pagina di questo libro sembra una lotta tra testo e iconografia: a volte il primo lambisce, invade o si sovrappone alle immagini disegnate e dipinte, altre volte sono le immagini che spingono il testo fuori dal suo spazio; non ci sono margini, né contorni salvati in alto e in basso, né respiro grafico. Le pagine del taccuino di Jacopo Fasolo sono così dense in quanto intrise propriamente di nostalgia, incapaci di trattenerla tutta; si sfogliano ma si ripassano, non si arriva mai alla fine, c'è sempre un motivo per riprendere una pagina precedente, che attrae per la sua bellezza originale. Le pagine del taccuino e gli splendidi disegni si integrano a vicenda, col risultato che la scrittura si unisce alle immagini quasi fondendosi con esse.