La vita e l'opera di Mario Palmaro al servizio della testimonianza, della fede e della ragione nel ricordo di alcuni dei suoi più stretti amici e collaboratori. Mario Palmaro è stato lo scrittore che, con Alessandro Gnocchi, ha osato per primo mettere pubblicamente nero su bianco perplessità e critiche sul pontificato bergogliano. Ma è stato anche lo studioso e il maestro che ha mostrato come nel campo della bioetica sia possibile tenere una condotta cattolicamente ineccepibile al servizio della fede, della ragione e della legge naturale. Ed è stato, con Gnocchi, l'inventore di un genere letterario capace di mettere alla berlina vizi, tic, errori e tradimenti di un cattolicesimo sempre più refrattario alla buona dottrina e arrendevole al mondo. E poi è stato anche tanto altro ancora, a cominciare dal marito e dal padre capace di tradurre nella vita di tutti i giorni ciò che scriveva e insegnava. In questo libro, Alessandro Gnocchi ha raccolto il ricordo di un gruppo di amici per mostrare come la vita di Palmaro sia stata la testimonianza di tutto questo, nella vita pubblica e privata.
"Abbiamo smentito gufi e rosiconi, sono felice, andiamo avanti come treni." Come un abile delfino del Cavaliere, Renzi sta trasformando la lingua e la politica di un'Italia che fatica a tenergli il passo. E, com'era prevedibile, il catalogo dei suoi avversari inizia ad assomigliare in modo impressionante a quello di Berlusconi: i poteri forti e i salotti buoni, Confindustria e i sindacati, l'Europa e i "manettari". "Stessi nemici, in contesti diversi, e in contesti diversi forse gli stessi errori", per questo Renzi ha già metà del piede nella tagliola. Che in Italia non tarda mai a scattare. "Volete che un vecchio e intemerato berlusconiano pop, come me, non si innamori del boy scout della provvidenza?" Quella del royal baby è una provocazione all'establishment nostrano, che Giuliano Ferrara, col suo stile inimitabile, accetta e porta fino in fondo: perché Renzi non ha rottamato solo la classe dirigente del Pd, ma almeno un paio di generazioni che hanno combattuto le loro battaglie e hanno, con alcuni onori e qualche disonore, perduto. Allora è arrivato il momento di cedergli il passo e, con dignità, abdicare: "Largo ai giovani e bando ai tromboni: non avrei mai pensato che potesse essere questo un programma civile, invece lo è".
I gesti e le parole di papa Francesco sono campionario di relativismo morale e religioso. Le esibizioni di ostentata umiltà ben poco francescane. La sua proclamazione dell'autonomia della coscienza e della visione personale del Bene e del Male, in palese contraddizione con il catechismo e il magistero dei pontefici precedenti. In un panorama in cui, dall'ultimo dei parroci al più agguerrito degli atei militanti, tutti si profondono a cantare le lodi del primo gesuita asceso al soglio di Pietro, la lettura controcorrente di due puntute firme del mondo cattolico tradizionale è apparsa come una vera e propria pietra dello scandalo. Mentre opinionisti da sempre anticattolici, su giornali da sempre anticlericali, riprendono le frasi "rivoluzionarie" di Bergoglio trasformandole in roboanti titoli da prima pagina, questa arguta riflessione si pone come primo contraltare all'unanime (e spesso per nulla disinteressato) consenso tributato al "vescovo venuto dalla fine del mondo". E offre nuove indicazioni per amarlo, nonostante tutto.