Da decenni la sociologia e le scienze umane analizzano il progressivo disgregarsi dei legami e delle relazioni. Non stupisce dunque che la solitudine sia considerata una delle maggiori insidie della nostra epoca. Media e opinione pubblica la descrivono come un morbo da combattere. Governi e istituzioni per la salute pubblica si sono mobilitati. In pochi, però, sottolineano che la situazione contemporanea è il frutto di una precisa evoluzione storica. >Mattia Ferraresi indaga con straordinaria lucidità le radici di questo fenomeno. E illumina il colossale paradosso che lo ha generato: lo scardinamento delle connessioni profonde con l’altro è, infatti, al cuore del progetto di emancipazione della modernità. Proprio il modello liberale ha posto le basi per una società fatta di soggetti che hanno scelto la solitudine quale via maestra verso l’autocompimento. Nel divincolarsi dalle autorità, dalle gerarchie e dalle costrizioni tradizionali che lo opprimevano, l’uomo moderno si è cosí ritrovato solo. Il suo ideale di liberazione si è trasformato, oggi, in una prigionia.
«Il nostro mondo. Quello dei selfie e delle pubblicità profilate, dei pasti monoporzione e del single come stato sommamente desiderabile. Un mondo dove la solitudine regna. Ma grattando la superficie delle osservazioni quantitative e delle cronache si intuisce che siamo di fronte a qualcosa di piú complicato e oscuro di una tendenza sociale: è lo stato esistenziale dell’uomo contemporaneo».
La paura di fronte al futuro caratterizza il nostro tempo in Occidente. È aggravata dalla crisi demografica, da quella economica, dalla corruzione endemica, dalla fragilità della famiglia e di molte aggregazioni sociali. Per quali vie possiamo arrivare a inaugurare una nuova epoca, affrontando con coraggio e consapevolezza il dramma di un mondo che sta finendo? Quale il posto dell'educazione e delle nuove tecnologie? Che ruolo può ancora avere la religione nelle nostre società così individualistiche e secolarizzate? Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, e Mattia Ferraresi, inviato per «Il Foglio» negli Stati Uniti, affrontano queste e altre questioni in un intenso scambio epistolare, dando vita a un dialogo che si sviluppa su registri e toni differenti, per approdare «alla scoperta che esiste la possibilità di una vita felice oltre la paura. E non solo esiste: è addirittura raggiungibile».
Il secolo greve è l'era di Donald Trump, dei nazionalismi europei e dei partiti anti-qualcosa, il secolo social e «populista» che mette in questione l'assodato e afferma l'indicibile. Se una politica grossolana mostra i segni anticipatori di un Occidente meno equo, meno libero e meno giusto, concentrarsi su di essa, come ormai d'abitudine, restituisce soltanto l'immagine di un sistema impazzito e incomprensibile. Rifiutando ogni semplificazione, Mattia Ferraresi individua dagli Stati Uniti all'Europa i segni più profondi del cambiamento, sulle tracce del tarlo che sta erodendo istituzioni e liturgie delle democrazie liberali e con esse le nostre sicurezze. Si scopre così che «non sono le invasioni» dei nuovi barbari a minacciare la cittadella liberale, sono le fondamenta stesse a dare segni di cedimento»: gli scricchiolii si propagano dalle nostre esistenze fino alle poltrone più ambite della Casa Bianca, in un crescendo di bassezze e spaesamento, una vera e propria perdita di senso, che è la cifra del nostro tempo.
Costruttore, finanziatore di partiti, artista del negoziato, signore di casinò e concorsi di bellezza, intrattenitore, politico per esigenze di business più che per indole, pater familias di una genia mondana: Donald Trump è un personaggio dai mille volti, da quarant'anni alla ribalta. Il passaggio da celebrità d'avanspettacolo alla più ampia scena politica mondiale impone oggi di fermarsi per comprenderne la natura profonda. Mattia Ferraresi, corrispondente per "Il Foglio" dagli Stati Uniti, fornisce in questo libro alcune coordinate: gli inizi da figlio scapestrato di un clan di palazzinari, la conquista di Manhattan, il bisogno di legittimazione; l'emergere della visione politica: nazionalista in un mondo cosmopolita, populista che accarezza il sogno di un ritorno a un conservatorismo leggendario. Infine il ruolo di candidato-tuttofare: autore, regista e spin doctor di se stesso, multiforme animale da palcoscenico che parla una lingua ipersemplificata, a misura di tweet. "Rintracciare le origini della forma mentis nostalgica e della vaghezza politica di Trump - scrive Ferraresi - permette di capire che non è un fenomeno avulso dal contesto: la sua figura, il suo credo contraddittorio, il linguaggio hanno una loro dimensione nella storia della democrazia americana che va rinvenuta nel passato e messa a confronto con le incertezze dell'oggi. Trump parla a un'America ferita, un paese che soffre di patologie non riconducibili a meri fattori economici".
"Barack Obama non è soltanto un politico di successo protagonista di una campagna perfetta che poi si scontra con la durezza del governo e da idealista diventa realista. Il 44esimo presidente degli Stati Uniti è artefice e oggetto di un mito che ricalca l'antica eresia di un'era nuova in cui il male sia espunto dal mondo. Quando la realtà, dall'Afghanistan all'economia, dalla sanità alla Cina, mostra la fallibilità di questo mito, a tenerlo desto ci pensano i cantori dei media, disposti a tutto per difendere la bellezza della promessa sotto una patina cool. La sbornia mondiale di Obama raggiunge l'apice con il premio Nobel per la pace. A dire del destino politico di Barack saranno le elezioni di midterm. Nel frattempo, però, è possibile una ricognizione sulla genesi del profeta postmoderno, sul quale spuntano, accettate perché plausibili, leggende sui legami col monaco eretico Gioacchino da Fiore, per la prima volta qui smascherate, a loro modo traccia di una strana eresia." Prefazione di Giuliano Ferrara.