In che modo le religioni, nella loro varietà, possono partecipare alla scena pubblica e al dialogo civile in un contesto attraversato da tensioni fondamentaliste e da degenerazioni terroristiche? Secondo il filosofo Jean-Marc Ferry è necessario che le religioni riescano a passare dall'«uso privato» all'«uso pubblico» delle loro ragioni, da uno stile dogmatico a uno stile critico. In altri termini, che si secolarizzino pur senza rinunciare alle loro convinzioni traducendo, per lo spazio pubblico, il linguaggio religioso in linguaggio secolare e profano e interiorizzando la differenza tra certezza e verità.
Molto prima dell'esistenza di un linguaggio stabilizzato in convenzioni sociali, l'intelligenza umana, come l'intelligenza animale, si muove in un universo di segni, come fosse il mondo stesso a parlare. Emergono allora forme di esistenza che Jean-Marc Ferry ci invita a esplorare "dall'interno". Egli propone al lettore un percorso in cui si rivela ciò che lega il mondo umano a quello animale e ciò che lo separa. Questo percorso affascinante conduce alla scoperta di grammatiche, di cui le più arcaiche, ormai rifugiatesi nell'inconscio e divenute "private", sono molto lontane dalla grammatica del nostro linguaggio pubblico, costruita sulla differenza dei tempi, delle persone, dei generi, dei casi, delle voci e dei modi. Con un approccio del tutto singolare l'autore chiarisce l'architettura normativa profonda del linguaggio e il suo significato per una forma di esistenza emancipata. È a partire da questa architettura profonda che si elabora l'intelligenza critica da cui prende forma il senso del diritto. Essa offre una risorsa decisiva per lo sviluppo della libertà umana, a meno che la sovversione mediatica della ragione pubblica non impedisca questo sviluppo favorendo gli automatismi delle nostre "grammatiche nascoste", grammatiche subliminali basate sulle associazioni di immagini e sulle imputazioni di ruoli.