Come l'uomo, anche il cinema cerca i propri simili. Nella violenza ne trova uno, essendo l'uno e l'altra ossessionati dallo sguardo: il cinema lo produce, la violenza lo sollecita. Ne scaturiscono visioni colpevoli, talvolta complici, implicate con l'estetica e la morale, la bellezza e la giustizia, la profondità di un dolore e la superficialità di una ferita. Per il cinema contemporaneo la sfida consiste nell'affrontare il rapporto di complicità ed attrazione che la violenza intrattiene, lontano dagli schermi e dalle sale, con le nozioni di sguardo, visione e spettacolo. E nel trovare una strada capace di trascendere sia le vecchie convenzioni che le nuove barbarie della violenza sul web.
Il regista cinematografico, il cui ruolo e le cui funzioni cominciano ad assumere una fisionomia compiuta intorno ai primi anni dieci, si pone all'intersezione di due grandi ambiti di riflessione: il primo, di retaggio ottocentesco, lo colloca all'interno della tradizione romantica dell'artista-creatore, le cui opere obbediscono rigorosamente alle istanze espressive della propria individualità; il secondo, proprio del XX secolo, ne analizza la figura in rapporto alla matrice tecnologica del cinema e al suo ruolo nel panorama delle comunicazioni di massa e dell'intrattenimento popolare. Il volume si propone di verificare in che misura il mestiere della regia è stato determinato da questi due modi di pensarne l'identità.