Per oltre mezzo secolo, la scrittura di Cesare Garboli ha suscitato gioia ed energia – non solo intellettuale – nei suoi lettori. Che parli di cinema o di letteratura, che affronti la pittura o il teatro, ogni suo incontro (con Francis Bacon o Mario Soldati, con Chaplin o Goya, con Gianni Brera o Walter Benjamin, o magari con l’ufficiale delle SS Herbert Kappler) produce l'impatto memorabile di una rivelazione. Ma il dono del supremo esecutore di testi, «portato a vedere le cose piuttosto come un problema da risolvere che come un tema da svolgere», l'ammaliante intelligenza comunicativa coabitarono in Garboli con una cruda severità verso i propri scritti: pochi e come a contraggenio ne raccolse, centinaia ne lasciò dispersi. Il giovane filologo che nel 1954, non ancora laureato, curava un'edizione di tutto Dante in versi, e al quale dobbiamo la promozione di Pascoli e Molière a nostri contemporanei, è autore di un'opera che ha dissimulato sé medesima nel segno di un apparente e talvolta compiaciuto spreco. È tempo, dunque, di rendere disponibile per tutti il luminoso rigore del lavoro svolto da questo scrittore antagonista sempre, anche del proprio talento.
Ognuno ha un suo classico, ha detto Garboli, cioè "un compagno di veglia, un segreto e inseparabile interlocutore". Il suo, non c'è dubbio, è stato Molière, cui ha dedicato, nel corso di oltre un trentennio, memorabili saggi e rivoluzionarie traduzioni, sino a diventarne "interprete accanito e quasi maniacale". Sempre, occorrerà aggiungere, in un'ottica acutamente teatrale. Non a caso, radunando nel 1976 cinque testi molieriani, Garboli sottolineava di voler offrire "cinque copioni al teatro italiano di oggi, nella presunzione che il teatro di Molière sia portatore di un sistema di idee, di un messaggio che ci è oggettivamente contemporaneo". Epicentro di quel sistema di idee è per lui Tartufo, oltraggiosa figura di servo che - infrangendo "l'antica, dura legge teatrale che fa dell'intelligenza dei servi un privilegio infruttuoso" si cimenta nell'impossibile impresa di farsi padrone, e che dalla servitù si libera "con l'esercizio salutare, rassicurante, medico della politica": sicché la pièce altro non è se non la "diagnosi comica e disperata della struttura politica della realtà, mascherata di valori intoccabili che si autolegittimano grazie alla santità di una causa e si presentano come la guarigione di un male". Con un saggio di Carlo Ginzburg.
Questa raccolta di "scritti civili" vede la luce a poco più di un anno dalla scomparsa di Cesare Garboli, un critico o, meglio, secondo la definizione di Geno Pampaloni ("uno scrittore prestato alla critica") uno scrittore che ha costituito, anche dal punto di vista civile, una delle coscienze critiche più vigili e indipendenti degli ultimi anni. Gli interventi e le interviste presentate in questo volume spaziano dalla riflessione su un articolo di Natalia Ginzburg sulla strage di Monaco alla spietata rivisitazione della storia dell'Occidente nella lettera a Bernardo Valli che dà il titolo alla raccolta, dallo svelamento del "cuore marcio del potere" attraverso una lettura di Re Lear a due scritti più specifici sull'Italia.
"Pianura proibita" è un libro che racconta una storia personale, e può essere letto come un diario nato da occasioni esteriori, ma illuminato da un sistema coerente d'idee e attraversato da lucide confessioni. E' la storia di un letterato che non ama i libri ma non può farne a meno. La storia di uno che cerca nei libri quel che non si trova, e non si può trovare, nella carta stampata. Per questa ragione l'autore di "Pianura proibita" - dove figurano Roberto Longhi e Benedetto Croce, Mario Soldati, Italo Calvino e Goffredo Parise - ha spesso e volentieri abbandonato le pagine dei filosofi e degli scrittori per inoltrarsi rapito e felice in tutt'altre esperienze.
Conversazioni, articoli e recensioni a commento degli avvenimenti culturali e politici più noti degli ultimi decenni per ripercorrere la storia italiana recente, tornando a confrontarsi con questioni aperte, attuali e dibattute, dal caso Moro all'assassinio Tortora, dal conflitto arabo-israeliano alla giustizia minorile nel nostro paese.
L'unicità di Pascoli sta forse, e soprattutto, nella sua capacità di essere antichissimo e modernissimo al contempo: la sua poesia è sia gioco formale, sia ricettacolo dell'oscurità esistenziale e del non detto. Quest'ambiguità diviene tanto più forte nei versi di argomento famigliare, quelli in cui Pascoli esprime la sua autobiografia, anche interiore. Eppure, queste poesie non sono organizzate in un ciclo tematico, come invece succede a gran parte della produzione pascoliana. L'antologia di Garboli costruisce, appunto, questo ciclo: riunendo trenta poesie Garboli ha dato unità e autonomia a uno dei settori più rappresentati della creatività pascoliana.