Una tesi elaborata dall’interno da un membro della comunità ebraica romana: negli ultimi trent’anni si è verificato un curioso fenomeno, ancora tutto da studiare, che ha trasformato il tradizionale, ben conosciuto ebreo postbellico in “frequentatore” di ambienti urbani ormai artificiali come lo stesso ghetto di Roma. Piccole e ben strutturate realtà metropolitane che potrebbero forse essere paragonate ad aree protette in funzione della salvaguardia di pregiati ambienti naturali, e dei rispettivi antichi abitatori. Non è cosa scontata che il “ghetto”, nelle sue moderne varianti più o meno mimetizzate, debba rappresentare per le Comunità diasporiche la realtà più sicura, e soprattutto la riappropriazione di se stessi e delle proprie radici. I muri di pietre e mattoni non ci sono più, ma si sono formati muri nuovi.
Uno sguardo dall’interno, disincantato, perfino impietoso, ma senza cadere nel cinismo e nel sarcasmo del pettegolezzo. Il lettore ebreo potrà dunque farsi coinvolgere, ed anche sentirsi provocato. Non è lui, tuttavia, a costituire il pubblico vero di queste pagine: gli ebrei, come si cerca di dimostrare, sono purtroppo pochi. Saranno tutti gli altri a lasciarsi incuriosire e trascinare da questa incursione davvero “corsara” in un mondo che non cessa di destare interesse, che sembra ed è vicinissimo, ma si intuisce e percepisce anche come lontano e diverso.