In molti avvertiamo l'esigenza di ripensare la bioetica a partire da alcune verità sulla condizione umana che l'esperienza della pandemia ha reso tangibili: la vulnerabilità, la consapevolezza di dipendere gli uni dagli altri, l'incertezza. Tra tutte è la vulnerabilità l'idea trainante, che reca in sé un'istanza di rinnovamento. Il testo propone un'analisi critica della sua presenza in bioetica; esamina la possibilità di una teoria che ne distingua le forme; ricerca, infine, la connessione tra vulnerabilità e cura, attraverso una rilettura dei saggi che Warren Reich ha dedicato, tra la fine degli anni '80 e gli inizi del 2000, all'intreccio dei due temi e alla proposta di un "nuovo" paradigma di cura. La parte centrale del testo rilancia la proposta, chiarendone l'impianto teorico. Traccia i lineamenti di "una bioetica della cura", insistendo sulla sua doppia origine: l'etica della cura e una riflessione sulla condizione umana che muove dal concetto heideggeriano di Cura e dalle filosofie di Lévinas e Jonas. Da tali premesse teoriche derivano i fondamenti e il metodo di questa bioetica, che esamina i problemi a partire dalle relazioni, senza rinunziare a proporre principi che orientino le relazioni di cura, e virtù che ne consentano una buona pratica. L'intento è promuovere una bioetica che, nelle diverse sedi in cui opera, sia sempre di più una "bioetica della prossimità".
Grazie alla scienza e alla tecnica, il desiderio di trasmettere la vita trova oggi nuove vie per realizzarsi anche là dove prima doveva arrestarsi: vie che percorre rompendo ogni schema, andando oltre il paradigma genitoriale tradizionale, la relazione madre-figlio, la stessa differenza sessuale. Tutto, o quasi, si svolge sui corpi delle donne, oggetti di manipolazione, stimolazione, estrazione, fino a spezzare in due o più parti la maternità. Il testo propone di tornare a quei corpi, restituendo loro la parola sul sentire/ pensare differente che li abita, in particolare quando divengono corpi di madri. Da quei corpi vissuti che dicono un "di più" di relazione e un "di più" di responsabilità, derivano i principi di un'etica della maternità, declinata come etica del riconoscimento e dell'ospitalità. Da qui l'ipotesi di una bioetica della maternità che aiuti a rileggere le questioni di inizio vita - dalla diagnosi pre-impianto al diritto a conoscere le proprie origini, dall'adozione degli embrioni sovrannumerari alla maternità surrogata - indicando la misura del desiderio nella cura di chi si chiama alla vita.
Le questioni bioetiche affondano le loro radici nella sofferenza, rendendo tormentata la risposta dell'etica. Una sofferenza che deriva dalle forme diverse che nell'età della tecnica assume la vulnerabilità, intesa come la continua esposizione al dolore, alla malattia e alla morte che segna la condizione umana e ci affida alla "cura". Fare della vulnerabilità un principio bioetico fondamentale, come nella Dichiarazione di Barcellona del 1998, significa indicare una "via" per dar voce al dolore dell'esperienza del limite che rimane dietro il "caso bioetico". Ripensando l'autonomia alla luce della vulnerabilità, integrando l'approccio dell'etica dei principi con quello dell'etica della cura, il testo propone una rilettura di alcuni temi della bioetica: la responsabilità verso il futuro, il rispetto per la persona, i modelli di relazione paziente-medico, le scelte dell'etica del morire, la rinuncia alle cure. Ne emerge la proposta di una "bioetica della cura" che, pur tra difficoltà teoriche, mostra le potenzialità di una "bioetica della solidarietà".
La genetica sfida le nostre certezze, mette in questione l'idea stessa di essere umano, il nostro rapporto con la corporeità e con la vita. Sino a che punto siamo il nostro genoma? È possibile che domani sia l'immagine del DNA, e non più quella del nostro volto, ad identificarci? Le possibilità nuove di conoscenza offerte dai test genetici possono cambiare la nostra vita, la proiezione nel futuro, il progetto genitoriale, i rapporti lavorativi e sociali. Nuovi interrogativi si aprono per l'etica e per il diritto: la tensione tra diritto di sapere e diritto di non sapere, tra rispetto della privacy e tutela della vita, i dilemmi etici sollevati dalla diagnosi genetica prenatale. Altre questioni sono poste dal nuovo potere di intervento sulla vita: si può superare il veto posto sinora agli interventi di ingegneria genetica sulle cellule germinali, presumendo il consenso delle generazioni future? È possibile porre paletti fermi tra terapia e trasformazione? E ancora: quali sono i rischi, quali i vantaggi degli OGM? È giusto brevettare le scoperte sulla vita, in particolare sulla vita umana? Problemi complessi che gli autori del testo affrontano in modo diverso: alcuni tendendo più a preservare l'esistente, sulla scia dei principi di responsabilità e di precauzione; altri cercando regole flessibili all'avanzare della scienza; altri, infine, tentando una terza via nell'argomentazione e nel dialogo.