La festa dei centocinquant'anni di unità cade in un'Italia smarrita, un paese che rinnega se stesso e i propri padri fondatori. Ma perché abbiamo un cattivo rapporto con il movimento nazionale che diede origine allo Stato italiano? E per quale ragione ci sentiamo italiani, ma non cittadini di uno Stato nazionale?
Emilio Gentile ripercorre un secolo e mezzo di storia italiana attraverso la lente del rapporto con il Risorgimento e nel confronto con le voci più autorevoli della storiografia italiana e straniera. Da una riflessione svolta senza retorica, senza condanne e senza apologie, emerge il ritratto realistico di un popolo continuamente oscillante fra euforia e depressione, orgoglio e avvilimento, presunzione di grandezza e complesso di inferiorità. Una comunità rissosa, incapace di accordarsi su cos'è l'Italia e cosa sono gli italiani.
L'ascesa al potere in Europa dopo la Grande Guerra dei regimi totalitari, portatori di concezioni dell'uomo e della vita contrarie alla dottrina e all'etica cristiane, obbligò le Chiese e i credenti ad affrontare il problema della compatibilità tra totalitarismo e cristianesimo. Se il bolscevismo, per l'esplicita professione di ateismo e la persecuzione religiosa attuata dal comunismo sovietico, suscitò la quasi unanime condanna da parte cristiana, più complesso e ambivalente fu il confronto con fascismo e nazionalsocialismo. Ci furono credenti che seppero comprendere subito la gravità della minaccia dei totalitarismi per il cristianesimo e la civiltà umana, e li combatterono con decisione e convinzione. Figure di antifascisti come don Luigi Sturzo, Francesco Luigi Ferrari o don Primo Mazzolari. Tuttavia la Chiesa cattolica in Italia e le Chiese protestanti in Germania cercarono di stabilire un dialogo e un rapporto con gli Stati totalitari. Lo stesso atteggiamento ambiguo di questi ultimi, oscillante tra omaggio e disprezzo, sostegno e antagonismo nei confronti della religione, ingannò e illuse molti credenti. In particolare ricco di problemi, di tensioni sotterranee e scontri aperti si mostrò il ventennale confronto tra fascismo e cattolicesimo. In Italia, il primo paese occidentale con un regime a partito unico che sacralizzava la politica e celebrava il culto del capo, Mussolini si era presentato con il Concordato come difensore della Chiesa, la quale considerava il fascismo, come poi il nazionalsocialismo, un "baluardo" contro il bolscevismo, la modernità liberale e la democrazia laica, ma trovava insieme nella religione politica fascista un potenziale concorrente. In Germania, invece, le componenti neopagane che proponevano il nazionalsocialismo come nuova religione anticristiana con un culto teutonico, ariano e antisemita, indussero vescovi cattolici ed esponenti delle confessioni religiose protestanti alla presa di distanza dal regime di Hitler. Per le coscienze cristiane, il conflitto tra primato di Cristo e primato di Cesare fu un'esperienza drammatica, e per alcuni si rivelò anche un'occasione di riflessione sul significato del totalitarismo e sul pericolo degli integralismi di Stato e di Chiesa.
«Se una grande maggioranza di italiani è orgogliosa della propria italianità, considera un bene l’Unità d’Italia, e si identifica con la patria, allora è lecito concludere che lo stato di salute della nazione italiana appare buono, molto buono, anzi florido. Ma le cose stanno proprio così?»
Il mondo in cui viviamo è diviso in Stati nazionali. Ma l’Italia va controcorrente: alla vigilia del 150° anniversario dell’Unità, il nostro paese sembra afflitto da una grave crisi di sfiducia nella propria esistenza. Molti cittadini pensano che la nascita dello Stato unitario sia stato un errore e che una nazione italiana non sia mai esistita. E vorrebbero prendere un’altra strada; ma non sanno quale. In un mondo di Stati nazionali, gli italiani rischiano di vagare, litigiosi e divisi, verso un futuro incerto e senza meta. Emilio Gentile invita a riflettere su oltre un secolo di storia, per comprendere le ragioni di tanto smarrimento. E, con l’immaginazione, apre uno spiraglio al miracolo della speranza.
Indice
Prefazione - I. Italia unita cento anni fa. 1911 - II. Italia unita cento anni dopo. 2011 - III. Nel mondo degli Stati nazionali - IV. Il Miracolo dello Stellone. 3111 - Nota dell’autore
In breve
Il regime fascista, ci racconta Emilio Gentile in questo nuovo e avvincente saggio, non era soltanto retorica, ma anche pittura, scultura, architettura, urbanistica. Gentile si conferma il vero erede italiano di Gorge Mosse, attento, come lo fu lo storico tedesco, agli aspetti dell’estetica del potere.
Dino Messina, “Corriere della Sera”
Si aprì l’era del ‘piccone risanatore’. Per Mussolini attrezzo-simbolo di un attivismo frenetico che finiva per considerare Roma e la sua architettura passata e futura – come spiega molto bene Emilio Gentile – come arsenale di miti, deposito di destini imperiali, ma anche bersaglio di risentimenti che il duce nutriva fin dalla giovinezza nei confronti della città eterna.
Filippo Ceccarelli, “la Repubblica”
Indice
Prologo. Parole, pietre, miti - 1. Porca Roma - 2. Mussolini antiromano - 3. Nuova romanità - 4. Il rigeneratore - 5. Roma mussolinea - 6. Sui colli fatali - 7. Duce imperiale - 8. La capitale del futuro - 9. I Romani della modernità - 10. Gli italiani non sono Romani - Epilogo. Quel che resta del mito - Note - Fonti delle illustrazioni - Referenze iconografiche
Alla fine del Novecento, fu annunciata in Italia la "morte della patria". Oggi assistiamo alla rinascita del culto della nazione, mentre molti temono tuttora una perdita dell'identità nazionale. Gli italiani, in realtà, non hanno mai avuto una comune idea di nazione, anche se fin dal Risorgimento il mito di una Grande Italia ha influito sulla loro esistenza. Sono state molte le Italie degli italiani, divisi da ideologie antagoniste, sfociate talvolta in guerra civile. Emilio Gentile narra la storia del mito nazionale nelle sue varie versioni fino a spiegare le ragioni per le quali la nazione è scomparsa dalla vita degli italiani per riapparire nell'Italia d'oggi, con un incerto futuro.
I manifesto di fondazione del futurismo, pubblicato su "Le Figaro" il 20 febbraio 1909 (quest'anno ne ricorre il centenario), si concludeva con le parole: "La nostra sfida alle stelle". Quel grido vitalistico incarna bene l'entusiasmo tragico del futurismo per la modernità, percepita come un'epoca di lotta e di espansione della potenza dell'uomo, lanciato alla "conquista del divino". Movimento prevalentemente artistico, il futurismo aveva l'ambizione di realizzare una rivoluzione totale che investisse ogni aspetto della vita dall'arte al costume - per creare l'italiano nuovo e, diversamente da altre avanguardie del primo Novecento, ebbe da subito una vocazione politica decisamente orientata in senso nazionalista. I futuristi esaltavano la violenza e la "guerra come igiene del mondo"; furono accesamente interventisti; nel 1918 fondarono un partito e un anno più tardi, con Mussolini, diedero vita ai Fasci di combattimento; parteciparono con D'Annunzio all'avventura di Fiume; simpatizzarono per il bolscevismo; si proponevano di abbattere la monarchia e scacciare il papa dall'Italia.
Nell'agosto 1914, allo scoppio delle ostilità, molti si erano arruolati entusiasti, immaginando di prender parte a una gloriosa avventura, convinti che il sacrificio del sangue avrebbe dato vita a un mondo e un uomo rinnovati. Dopo pochi mesi, l'entusiasmo era scomparso. Ci si rese conto che la guerra era completamente diversa da quelle fino ad allora combattute: per l'enormità delle masse mobilitate, per la potenza bellica e industriale impiegata, per l'esasperazione parossistica dell'odio ideologico, per l'ingente numero di soldati sacrificati inutilmente. La Grande Guerra rappresentava il naufragio della civiltà moderna. I combattimenti cessarono alle ore 11 dell'11 novembre 1918. E già all'orizzonte nuove tragedie si profilavano, poiché il trattato di Versailles ridisegnava l'intera geografia europea secondo la volontà dei vincitori, con conseguenze gravi e di lunga durata a livello politico e ideologico: le rivendicazioni territoriali, la corsa al riarmo e la militarizzazione di massa della società saranno alcuni dei principi cardine sui quali regimi totalitari come il fascismo e il nazismo baseranno il proprio consenso. Gentile ricostruisce il contesto sociale, culturale e antropologico entro il quale maturò quella che è ritenuta una delle più tragiche esperienze del Novecento, soffermandosi in particolare sugli artisti e gli intellettuali che, se all'inizio avevano invocato la guerra come una catarsi, si fecero poi interpreti dell'angoscia profonda da essa scatenata.
Oltre duecento anni fa, i Padri Fondatori degli Stati Uniti affermarono che tutti gli uomini ricevono da Dio i diritti inalienabili alla vita, alla libertà e alla felicità. È nata cosi una religione civile che consacra gli Stati Uniti come la democrazia di Dio, secondo l'efficace definizione di Emilio Gentile. Dopo l'attacco terroristico dell'11 settembre 2001, George W. Bush si è richiamato a quel culto sacrale della nazione per guidare gli americani in una vera e propria crociata santa contro il terrorismo: chi ha osato dissentire dalla sua politica è stato bollato come eretico contro l'America e contro Dio. Oggi l'era di Bush sta per terminare e all'inizio del prossimo anno un nuovo presidente varcherà la soglia della Casa Bianca. Non ci sono certezze sulla sua identità, ma di una cosa Emilio Gentile non dubita: che sia nero o bianco, uomo o donna, repubblicano o democratico, il nuovo presidente americano continuerà a officiare il tradizionale culto della nazione, portando avanti la missione della democrazia di Dio nella salvaguardia del benessere mondiale.
A più di dieci anni di distanza dalla sua prima pubblicazione si ripropone, in un'edizione aggiornata, un libro che ha contribuito a rinnovare la storiografia sul ventennio fascista in Italia e all'estero. L'analisi si concentra sul "partito milizia" come embrione totalitario, sull'interpretazione del regime fascista come "cesarismo totalitario" e sulla revisione del concetto stesso di totalitarismo, interpretato come esperimento e metodo di dominio politico. In questo senso, il libro può essere considerato più "attuale" oggi che al tempo della prima edizione. La premessa alla nuova edizione e i tre nuovi capitoli, infine, non sono soltanto un aggiornamneto dela rassegna critica, ma rappresentano uno sviluppo e un ampliamento dell'analisi storica e teorica dell'esperimento totalitario fascista e del totalitarismo in generale, confermando l'utilità del libro per l'interpretazione dell'Italia contemporanea e per la riflessione sul totalitarismo come esperienza di modernità alternativa alla modernità liberale e democratica.
Roma e il fascismo: l'evidenza del loro connubio nasconde molti interrogativi. Bisogna domandarsi innanzi tutto: quale Roma? È necessario distinguere fra la Roma reale, la Roma antica e la Roma fascista. Alla Roma reale che disprezzava, il fascismo opponeva il proprio mito di Roma, che coincideva, fin dalle sue prime formulazioni, con l'odio per la democrazia e con il mito dell'impero: "La Roma che noi onoriamo, non è la Roma dei monumenti e dei ruderi, la Roma delle gloriose rovine. La Roma che noi vagheggiamo e prepariamo è un'altra: non si tratta di pietre insigni, ma di anime vive; non è contemplazione nostalgica del passato, ma dura preparazione dell'avvenire. Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento; è il nostro simbolo o, se si vuole, il nostro mito. Noi sogniamo l'Italia romana, cioè saggia, forte, disciplinata e imperiale.". Il mito della Roma fascista, anche se ammantato di richiami alla Roma antica, era un mito moderno. La romanità del fascismo fu essenzialmente una proiezione del suo totalitarismo, col quale il mito fascista di Roma si identificò per tutto il percorso della parabola del regime, dall'ascesa faticosa, ma decisa, verso la potenza e la gloria del trionfo, alla discesa inconsapevole, ma sempre più precipitosa, verso una fine ingloriosa. Intrecciando documenti e immagini, Emilio Gentile propone un'originale interpretazione del connubio fra Roma e fascismo, rivelando aspetti inediti del totalitarismo fascista.