La leggenda di Medusa è alquanto arcaica. Il libro ne vuole raccontare la storia. L’avventura è cominciata con gli artisti e gli scrittori antichi e medievali che avevano inventato un mostro dal sapore ofidico e dallo sguardo mortale. In una lunga tradizione di immagini visive e mentali è fiorita la credenza nella donna serpente. Le metamorfosi di Medusa, divenuta nel tempo il prototipo della sub-umanità femminile, sono state onnipresenti nell’immaginario delle società premoderne che avevano incasellato la sua occhiata raggelante fra le teorie più diffuse sulle mestruazioni. L’eccitante epopea degli ibridi femminili – da Echidna a Melusina, dalle Gorgoni alle velenose Amazzoni, da Eva al basilisco, dalla Pulzella velenosa alla catopleba fino a Sudako Samara – rispecchia le esperienze emotive conflittuali con l’alterità.
Partendo dalla ricostruzione delle basi teoretiche delle esperienze visive, il libro rivisita i momenti più significativi di questo passaggio, gli equivoci e le nuove regole del gioco del vedere. Dalle credenze della prima letteratura cristiana riguardo alla visione interiore, al sapiente uso e consumo di massa delle immagini, sostenuto dalla Chiesa e successivamente dall'élite secolare colta, che dal XII secolo ricorre agli strumenti iconografici per propagandare valori mondani; dall'invenzione di un sistema educativo, incentrato sulla funzione fondamentale delle immagini, alla scoperta delle diverse strategie del comportamento visivo, operanti in particolar modo nel mondo femminile e infantile.
Come visse il senso dell'infanzia il Medioevo? Quali condotte sociali adottarono gli adulti per allevare, educare ed amare i loro figli? Quali furono i comportamenti maschili e femminili? È proprio vero che la società occidentale non ebbe bisogno, in quei secoli, di idee-guida sui bambini? A questi e ad altri interrogativi risponde il saggio che, attraverso il ricorso a varie testimonianze scritte ed iconografiche, restituisce gli atteggiamenti, le riflessioni, i comportamenti, le emozioni, i sentimenti e le raffigurazioni dei contemporanei a riguardo. Si scopre così che alle intonazioni pessimistiche dell'età di sant' Agostino e di quelle generazioni successive, che trovarono odioso persino il ricordo di essere stati bambini, ne susseguirono altre. A partire dal XIII secolo, in area francese ed italiana, trattatisti, medici, divulgatori scientifici, precettori e romanzieri cominciarono a considerare positiva l'esistenza delle prime età e a raccomandare, con Aldobrandino da Siena (XIII secolo), agli adulti di far crescere i bambini senza «accidentia animae».
Ma c'è di più. Anche sul piano personale, la parola infanzia promuove sensazioni gradevoli.
Prova ne è l'orgoglio con cui Christine de Pizan (XIV secolo) attribuiva ai giorni felici della sua infanzia il merito di averla aiutata a superare le avversità della vita.