Viviamo in un tempo di grande sofferenza: non le sofferenze atroci prodotte dalle grandi tragedie del ’900, ma un malessere sociale diffuso che si esprime sotto forma di sofferenza talora esplicita e mediatizzata, talora impalpabile, silenziosa e occultata dai mass media. È possibile un discorso scientifico sulla sofferenza a partire dalla consapevolezza della comune «condizione umana» che la globalizzazione induce? Elaborando una tipologia fenomenologica della sofferenza analizzata sulla base di un modello connessionista, il volume esplora quindi il contributo che tre studiosi classici (Karl Marx, Emile Durkheim e Max Weber) e tre contemporanei (Hans Jonas, Irving K. Zola e Margaret Archer) possono offrire attraverso i concetti di alienazione, anomia, razionalizzazione, limite, vulnerabilità e riflessività fratturata per una comprensione delle cause profonde della sofferenza umana. Ad emergere, è così quella «dimensione del negativo» che, spesso interpretata dalle diverse mitologie, filosofie e teodicee religiose come prova dell’esistenza del «male», rappresenta in realtà una componente intrinseca della condizione umana che una «sociologia del negativo» critica e riflessiva può consentire di analizzare sulla base di nuove piste di ricerca ormai ineludibili nella società globalizzata.
Il medico di medicina generale (MMG) riscopre la pratica clinica ambulatoriale come proprio specifico ambito professionale in relazione alla vita quotidiana dei propri pazienti: è questa la novità messa in luce da questo lavoro, che presenta i risultati di un progetto di ricerca-azione con i MMG dell'AUSL di Rimini. A partire dall'uso delle narrazione come strumento di autoriflessione sulla propria pratica professionale, infatti, il percorso svolto evidenzia come divenga possibile cogliere l'esperienza clinica del singolo medico nelle sue caratteristiche più peculiari.