La Messa – e non già la Divina Commedia – è il «poema» veramente «sacro al quale hanno posto mano e cielo e terra». Opera dello Spirito Santo, di Cristo e della Chiesa, essa incomincia con un Salmo e finisce con due preghiere di Leone XIII. L'uomo e l'Uomo. Dio, la Trinità e tutti gli Angeli ne formano l'argomento. La Consacrazione, che rinnova l'Incarnazione, è il punto culminante di questo immenso mistero. E il Prete n'è, al tempo stesso, il taumaturgo e il poeta. A un tratto, inesplicabilmente, per mezzo della parola sacerdotale, che ripete la parola divina, il pane e il vino, cambiando natura, diventano Cristo: il Cristo vittima, il Cristo cibo. Allora, noi in Cristo, offriamo Dio a Dio, e noi con Lui. Se offrissimo solo noi non offriremmo nulla; ma offriamo noi con Lui; innestiamo la nostra morte alla Sua Vita e diventiamo viventi. Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo». E noi mangiamo quel pane che uccide la morte. L'Infinito penetra, così, nel finito; il finito si dilata, splendendo, nell'Infinito. Il Creatore, riabbassandosi, eucaristicamente, fino alla creatura, si dà a lei, entra in lei, celebra con essa le nozze. E il Paradiso è sulla terra, intorno a un piccolo disco bianco, offerto dalle mani di un uomo che, in quel momento, è più grande della Regina degli Angeli. Tale la sintesi della Messa. Il commento che segue si propone di lumeggiarne ogni parte. La Messa, per moltissimi, immersi nell'ignoranza religiosa, è come un affresco che altri afferma prezioso, ma che, agli occhi annebbiati di chi lo guarda, appare tutto coperto da un fitto strato di polvere. Ho tentato di dissipare quella nebbia e di far vedere il dipinto. Ma certamente vi son mal riuscito. Per far ciò ci sarebbe voluto un poeta santo. Ed io sono un povero balbuziente, a cui l'alito del peccato appanna il volto di Cristo.
L'inscindibile comunità fra campagna, uomini, animali e cristianesimo nell'anima del salvatico di Greve irsuto protagonista cattolico della letteratura del novecento.
L'universo era per S. Francesco come un poema immenso che canta incessantemente le lodi del suo Creatore.Con la prefazione del Patriarca di Venezia, Card. Angelo Scola
In Tizzi e Fiamme Giuliotti trasforma radicalmente il suo stile estremamente duro, polemico e graffiante. Nella seconda parte la sua prosa diventa improvvisamente dolcissima passando dalla polemica ad una analisi mistica. In italia il primo scrittore del novecento a dimostrarsi come uno strenuo difensore del cattolicesimo fu domenico giuliotti. Con le sue opere, in primo luogo aiutr i cattolici ad avere il coraggio delle loro idee, insegnr loro ad attaccare invece di pensare solo a difendersi e, in secondo luogo, li aiutr a liberarsi da quel complesso di inferiorita civica e letteraria, che li aveva fatti rifugiare sino ad allora dietro al baluardo del manzoni". In altre parole, egli fece si che potessere guardare il mondo moderno negli occhi per giudicarlo e condannarlo. Anche gli italiani, come gli antichi ebrei, si erano allontanati dalla retta via e giuliotti fu il geremia inviato a rimproverarli per averla smarrita. Tizzi e fiamme e`un'opera composita e contraddittoria: vi e`il giuliotti polemista (quello della prima parte "idee nere"), ma anche il giuliotti mistico e serenamente apologista. Forse il giuliotti migliore lo si coglie in queste ultime pagine "piu`modeste e silenziose, ma, in sostanza, piu`religiose e umane, dove lo scrittore toccando fatti particolari, di persone vere, si rivela meglio artista." "