Nella vicenda di Faust, simbolo dell'anima umana lacerata dal conflitto tra bene e male, salvezza e dannazione, si mescolano magia e filtri di giovinezza, patti col demonio e tragedie d'amore. Già presente nella cultura europea, essa venne interpretata da autori di ogni epoca, da Christopher Marlowe a Paul Valéry, da Lessing a Thomas Mann. Goethe iniziò a stendere un testo teatrale sulla leggenda di Faust a diciannove anni e vi lavorò per tutta la vita, approdando a una versione definitiva del dramma solo nel 1831, pochi mesi prima della morte.
Quando a 37 anni Johann Wolfgang Goethe intraprende nel 1786 il suo “grand tour” in Italia, è già uno dei più conosciuti scrittori europei. Dalla sua esperienza ne deriverà il celebre “Viaggio in Italia”, ma le più dense emozioni sono tutte nei mesi trascorsi a Roma. Le pagine dedicate alla città che qui riproponiamo non sono solo un diario di viaggio, non testimoniano solo l’occhio del poeta a contatto con feste sacre, magie della città notturna, imponenza degli antichi edifici, aneddoti sulla vita dei salotti letterari dell’epoca. Tutto questo, ma anche una affascinante autobiografia del poeta che sente la città come fonte di ricchezza spirituale.
Al suo primo apparire, nel 1774, "I dolori del giovane Werther" conobbe un successo senza precedenti: romanzi ispirati a Werther, abiti modellati su quelli indossati da Werther, profumi intitolati a Werther invasero in breve tempo l'Europa. Nel 1787 Goethe ne pubblicò una seconda stesura, destinata a diventare un classico della letteratura mondiale, quella che viene ripresentata qui nella traduzione, anch'essa ormai "classica", di Giuseppe Antonio Borgese. Primo grande testo del romanticismo, questo romanzo conserva un fascino profondo, un'inconfondibile originalità nel modo in cui la prosa si adegua ai successivi stati emotivi del personaggio, ora rapito nell'osservare la bellezza di un frammento di natura, ora rinchiuso in se stesso mentre nel suo cuore si agitano tempestose passioni. Con un saggio di Thomas Mann. Introduzione di Roberto Fertonani.
Scritto nell'arco di sessant'anni, iI "Faust" rappresenta uno dei punti più alti della letteratura mondiale di ogni tempo. Ispirata dalla figura storica di un alchimista tedesco vissuto nel XVI secolo, la vicenda è incentrata sullo scellerato patto che un uomo sapientissimo, Faust, stipula con un rappresentante del Diavolo, Mefistofele, al fine di poter accedere ai segreti più arcani del mondo. In vita Mefistofele servirà Faust con le sue arti magiche, per poi ottenerne in punto di morte l'anima e consegnarla alla dannazione eterna. Diverse sono le scene rese immortali dalla penna di Goethe: la seduzione attraverso mille espedienti di Margherita, il sabba delle streghe nella notte di Valpurga, l'Imperatore tedesco alle prese con l'inflazione, la disperata difesa della propria casa di Filemone e Bauci... Nonostante i mille misfatti e l'accordo sottoscritto con il Maligno, nel momento finale Faust verrà salvato grazie alla forza creatrice che muove l'universo: il principio femminile dell'Amore.
I volumi raccolgono gli scritti sulla morfologia in ordine cronologico (dal 1776 al 1832) e in una nuova traduzione: dagli scritti di osteologia comparata all'indagine sull'osso intermascellare, dal saggio sulla metamorfosi delle piante agli studi entomologici, dai contributi sulla teoria vertebrale del cranio alle riflessioni sulla metodologia scientifica, fino agli ultimi lavori sulla tendenza a spirale della vegetazione, il metodo morfologico applicato al mondo organico si definisce e si articola, pur senza giungere mai a una compiuta rappresentazione sistematica.
La figura di Wilhelm Meister accompagnò Goethe per buona parte della sua vita, fin dalla giovinezza: è infatti il protagonista del suo secondo romanzo, "La vocazione teatrale" di Wilhelm Meister, composto tra 1777 e 1785. Una decina d'anni dopo Goethe tornò sul personaggio, forte di una moltitudine di esperienze (il viaggio in Italia, la Rivoluzione francese, l'amicizia con Schiller) che lo avevano portato a una maturazione intellettuale, politica e umana. Smorzato dunque lo slancio esasperi ratamente romantico delle prime opere, diede vita a "Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister", pubblicato tra 1795 e 1796 e considerato il capostipite del "Bildungsroman": in queste pagine la formazione di un artista diventa la formazione tout court di un uomo, nella quale il teatro non è che una tappa, destinata a essere superata. Come ebbe a dire un Goethe ultrasettantenne rileggendo la propria opera, "Wilhelm è di certo un 'povero diavolo', ma è solo in tali individui, non già in caratteri solidi e conchiusi, che è possibile mostrare con grande evidenza il gioco alterno della vita e i suoi mille compiti diversi".
Luoghi di altissima concentrazione del pensiero goethiano, le "Massime" appaiono come vette dalle quali si dominano ampi tratti dell'esperienza umana. Ma sono anche il sofferto diario di vita, di lavoro e di lotta di un grandissimo artista e moralista, che vuole consolare, insegnare e incitare. Così queste pagine, frammentarie ma unificate dalla personalità del grande poeta tedesco, elevano l'occasione a legge, il contingente a necessità, l'effimero a eterno e, attraverso la grande luce ideale che le illumina, riflettono nelle loro sfaccettature lo splendore del multiforme genio goethiano.
La pubblicazione nel 1927 della Fiaba, scritta da Wolfgang Goethe nel 1795 a conclusione delle "Conversazioni di profughi tedeschi", fu la prima traduzione italiana del racconto, ad opera di Emma Sola, collaboratrice del "Baretti" e studiosa del romanticismo tedesco. Il libro faceva parte del progetto avviato da Gobetti di una grande collezione di letteratura europea che contribuisse a superare il provincialismo italiano, secondo i criteri di serietà e di apertura che ispiravano le sue edizioni. Il testo non ha perso nulla del fascino che esercitò sui contemporanei di Goethe. La storia della bella Lilie, del magico serpente verde, del magnifico ponte che unisce le sponde del fiume e del tempio sotterraneo che alla fine emerge alla luce, ha un complesso impianto simbolico e una forte tensione utopistica verso la liberazione, la fratellanza degli uomini e la trasformazione della più grande infelicità nella più grande felicità.
Il 16 novembre 1817 Goethe realizzò uno scritto sul Cenacolo di Leonardo da Vinci partendo da uno studio di Giuseppe Bossi, considerato il primo serio tentativo di analisi tecnica ed estetica del dipinto, nonché un potente stimolo al consapevole riconoscimento dell'unicità di quell'opera leonardiana. Pur rimanendo debitore alla sua "guida" italiana, Goethe non interpretò però il Cenacolo alla luce della sensibilità indagatrice e "antiquaria" dell'età neoclassica, ma innalzando il capolavoro a icona del genio universale con un coinvolgimento emotivo e un'enfasi retorica ormai decisamente romantici.