Ernest Renan (1823-1892) fu un uomo di genio in grado di suscitare forti passioni. Dopo la pubblicazione della sua "Vita di Gesù", l'ex seminarista divenne per tutti i cattolici "il grande bestemmiatore". Benché la sua adesione al campo repubblicano sia stata tardiva, fu considerato uno dei numi tutelari della Terza Repubblica. Tre problemi guidano il viaggio intrapreso da Franc?ois Hartog sulle tracce di Renan: la nazione, la religione, l'avvenire. Evoluzionista convinto, Renan crede nell'avvenire, ma quale sarà in futuro l'idea di avvenire? E quale sarà la religione dell'avvenire, dal momento che il cristianesimo ha fatto il suo tempo e che un avvenire senza religione è inconcepibile? Forma politica del momento, la nazione non può affatto sottrarsi all'azione del tempo: quale sarà l'avvenire della nazione e dell'Europa? Nel mondo di allora, dominato dalla Germania, la questione della nazione e dell'Europa sono legati. Queste tre domande sono ancora le nostre domande? Attraverso la distanza che ci separa da Renan e utilizzando la sua opera come un prisma, che cosa ci fanno capire del nostro tempo? Fino a poco tempo fa, l'avvenire di Renan poteva ancora essere il nostro; fino a poco tempo fa, la religione sembrava essere alle nostre spalle; la nazione appariva anch'essa come una forma politica esausta e in via di superamento. Ed ecco che tutti questi temi tornano e ci portano a riconsiderare tutto ciò che noi avevamo creduto di sapere sulla nostra condizione.
Il tempo è onnipresente e ineluttabile. Innanzitutto è ciò che non può essere afferrato. Ma pur essendo l'inafferrabile, gli uomini non hanno mai smesso di cercare di padroneggiarlo. Innumerevoli sono state le strategie messe in campo per comprendere il tempo, o per illudersi di riuscirci, dall'antichità classica ai giorni nostri, passando per il famoso paradosso di Agostino: finché nessuno ti chiede che cos'è il tempo, lo sai; ma appena te lo chiedono, non lo sai più. In questa ricostruzione storica e filosofica di uno dei misteri più affascinanti della realtà, François Hartog distingue diverse epoche: dai vari modi che i greci avevano di definire il tempo, alla particolare concezione cristiana di un presente compreso tra la nascita di Cristo e giudizio finale, dall'affiorare del tempo moderno, frutto del progresso, alle incertezze contemporanee. Oggi il futuro si è fatto incerto ed è sorta una nuova era, l'Antropocene, interamente governata dalla forza dell'uomo. Che ne è oggi dei vecchi modi di intendere chronos? Quali nuove strategie, irretiti come siamo nella dimensione evanescente e costrittiva del presentismo, dovremmo concepire per affrontare quello che ci appare un incommensurabile e minaccioso futuro?
Sostenuto da una estesa esperienza di storico dell'antichità ma attento al presente, François Hartog in questa opera discute il rapporto delle società con la propria storia, il loro modo di viverla e rappresentarla, in sostanza il senso del loro essere nel tempo. Centrale nella sua riflessione è il concetto di "regime di storicità", alla cui elaborazione è pervenuto utilizzando suggerimenti di Lévi-Strauss, Sahlins, Koselleck, Lenclud, lungo un percorso che va da Hegel a Heidegger, dunque di almeno due secoli della cultura europea. Per regime di storicità si possono intendere in un'accezione ristretta "il modo come una società tratta il proprio passato e ne parla", in senso esteso invece "le modalità di coscienza di sé di una comunità umana". Utile per capire e comparare "tipi di storia diversi", la nozione di regime di storicità, secondo Hartog, è decisiva per capire i modi storici delle società di relazionarsi e esperire la temporalità, dunque "le loro maniere di essere nel tempo". Compito ineludibile quindi dello storico, pensa Hartog seguendo Lucien Febvre, è quello di "rispondere alle domande che si pone l'uomo d'oggi", non per cancellare il passato ma per "comprendere in cosa appunto differisce dal presente".