Può sembrare assurdo, al culmine della recessione più grave del secolo, parlare di "grandi giacimenti occupazionali inutilizzati". Invece proprio di questo si tratta: per uscire dalla grande crisi è urgente dotare il nostro Paese di servizi di orientamento professionale e di formazione che rendano i lavoratori capaci di rispondere alla fame di personale qualificato e specializzato di cui soffrono le imprese. Ancora più singolare può apparire oggi l'idea che non siano soltanto gli imprenditori a selezionare i propri collaboratori, ma anche i lavoratori a scegliere e "ingaggiare" l'imprenditore più capace di valorizzare il loro lavoro. Eppure è davvero questo che accade in un mercato maturo, anche nella congiuntura peggiore. Proprio per uscirne è importante che i lavoratori si considerino parte di un "mercato dell'intrapresa", nel quale hanno interesse ad allargare il più possibile la concorrenza tra gli imprenditori indigeni e stranieri sul versante della domanda di manodopera. Perché tutto ciò accada occorre una nuova "intelligenza": una capacità che i lavoratori devono saper esercitare sul piano individuale e su quello collettivo, per conoscere e capire il mercato del lavoro in tutti i suoi meccanismi, in modo da poterlo utilizzare efficacemente a proprio vantaggio. Per questo c'è bisogno di un sindacato capace di assumere come proprio il mestiere di intelligenza collettiva dei lavoratori e al tempo stesso di essere partner dell'imprenditore nella progettazione di nuove forme di organizzazione aziendale e di spartizione dei frutti dell'impresa. Da sempre convinto della necessità di far cooperare diritto, economia e sociologia, il giuslavorista Pietro Ichino ci propone in queste pagine un rovesciamento della visione tradizionale del mercato del lavoro e del ruolo del sindacato, che può contribuire a trovare la via d'uscita dalla crisi di sistema che stiamo attraversando.
Nella primavera del 1962 la famiglia Ichino riceve la visita dell'amico don Milani. Indicando i libri e il benessere che si respira in quel salotto milanese, il priore si rivolge a Pietro, tredicenne: «Per tutto questo non sei ancora in colpa; ma dal giorno in cui sarai maggiorenne, se non restituisci tutto, incomincia a essere peccato». Marchiato a fuoco da questo monito, che pur nella sua radicalità racchiude in sé molti altri insegnamenti familiari, il protagonista di queste pagine diventa sindacalista, professore e parlamentare impegnato sul fronte del diritto del lavoro nell'epoca drammatica della fine delle ideologie, del terrorismo rosso e poi della sua nuova fiammata negli anni Novanta. In questo libro insolito, al confine tra un racconto intimo e il grande affresco di un'epoca, le vicende pubbliche si intrecciano alla storia di una famiglia italiana che raccoglie in sé l'eredità ebraica e un cattolicesimo dalla forte vocazione sociale e che ha eletto la Versilia a proprio luogo dello spirito: è così che - dalla Grande Guerra fino alla fine del millennio, dalle persecuzioni razziali al Concilio Vaticano II, dal '68 agli anni di piombo - la "casa nella pineta" diventa il crocevia di vite vissute con singolare intensità.
"Giù le mani dall'articolo 18!" si gridava, nelle piazze e non solo. Poi, quando si è capito che quella norma poteva essere davvero mandata in soffitta, la tensione è arrivata al calor bianco. Eppure tutti sanno che il sistema di protezione di cui l'articolo 18 è la chiave di volta, quello che oggi chiamiamo job property, è nato mezzo secolo fa, nel lontano 1970: da allora tutto, o quasi, è cambiato. Cinquant'anni fa non c'erano ancora i computer, non esisteva Internet, ma neppure fax e fotocopiatrici. Esisteva, invece, il "posto fisso": si entrava in azienda a 16 anni per rimanerci fino alla pensione, fabbricando sempre gli stessi oggetti, con gli stessi strumenti. In una società dove erano ancora gli aiuti di Stato ad assicurare la continuità delle grandi strutture produttive, non era neppure pensabile che aziende come Olivetti, Fiat o Alitalia potessero ricorrere a un licenziamento collettivo o tanto meno chiudere. Mentre era pensabile che il "risarcimento" per la perdita del posto in aziende come quelle consistesse in anni e anni di Cassa integrazione, fino a un prepensionamento a 57 o 58 anni. Ma nel frattempo l'articolo 18 generava un regime di apartheid tra i garantiti e i precari, cui la grande crisi ha aggiunto gli esclusi. In questo libro scritto con il rigore dello studioso ma con la penna agile del giornalista, Pietro Ichino, giuslavorista e senatore della Repubblica, racconta perché e come nel nostro ordinamento è stato introdotto l'articolo 18...
Perché il lavoro è così importante nella nostra Costituzione? Cosa si intende per "lavori umili" e perché si dice che gli italiani non li vogliono più fare? Che cos'è il lavoro minorile? Che cos'è la disoccupazione? Che cos'è l'articolo 18? La scuola prepara i giovani al mondo del lavoro? Una delle prime domande sul futuro che si pone un ragazzo è proprio quella sul lavoro. Cosa farò da grande? Questo libro parte dalla stessa domanda e ci porta nel mondo di domani. Età di lettura: da 9 anni.
Da sindacalista della Cgil, poi da ricercatore, professore di diritto del lavoro, avvocato, editorialista del "Corriere della Sera", e per qualche tratto anche come politico in Parlamento, Pietro Ichino ha spesso sostenuto tesi scomode per l'establishment, di sinistra e di destra, contribuendo in modo incisivo all'evoluzione del sistema italiano delle relazioni industriali e raccogliendo tanto consensi ed entusiasmo quanto critiche e contestazioni. Per via delle sue proposte è stato accusato di eresia e addirittura di "intelligenza con il nemico", di essere cioè un portatore di idee liberiste infiltrato nel centrosinistra. Attraverso un'avvincente inchiesta, un vero e proprio interrogatorio senza esclusione di colpi, Ichino risponde a tutte le obiezioni e le accuse ricevute in questi ultimi anni, messe in bocca a un immaginario interlocutore-inquisitore, affrontando i temi fondamentali del lavoro in Italia. E grazie ad analisi precise ed esempi concreti mette a nudo i meccanismi segreti di un sistema drammaticamente ingessato, prigioniero dei propri tabù e delle proprie caste. Un paese in cui vige un regime di vero apartheid tra lavoratori protetti e non protetti, dove agli stabili regolari è riconosciuta una sorta di job property, mentre agli outsiders e ai new entrants, ben che vada, si offrono soltanto i posti di serie B, C e D, con un futuro pensionistico misero, destinato a maturare soltanto dopo i settant'anni. Un sistema chiuso da un tacito accordo protezionistico...
Da sindacalista della Cgil, poi da ricercatore, professore di diritto del lavoro, avvocato, editorialista del "Corriere della Sera", e per qualche tratto anche come politico in Parlamento, Pietro Ichino ha spesso sostenuto tesi scomode per l'establishment, di sinistra e di destra, contribuendo in modo incisivo all'evoluzione del sistema italiano delle relazioni industriali e raccogliendo tanto consensi ed entusiasmo quanto critiche e contestazioni. Per via delle sue proposte è stato accusato di eresia e addirittura di "intelligenza con il nemico", di essere cioè un portatore di idee liberiste infiltrato nel centrosinistra. Attraverso un'avvincente inchiesta, un vero e proprio interrogatorio senza esclusione di colpi, Ichino risponde a tutte le obiezioni e le accuse ricevute in questi ultimi anni, messe in bocca a un immaginario interlocutore-inquisitore, affrontando i temi fondamentali del lavoro in Italia. E grazie ad analisi precise ed esempi concreti mette a nudo i meccanismi segreti di un sistema drammaticamente ingessato, prigioniero dei propri tabù e delle proprie caste. Un paese in cui vige un regime di vero apartheid tra lavoratori protetti e non protetti, dove agli stabili regolari è riconosciuta una sorta di job property, mentre agli outsiders e ai new entrants, ben che vada, si offrono soltanto i posti di serie B, C e D, con un futuro pensionistico misero, destinato a maturare soltanto dopo i settant'anni. Un sistema chiuso da un tacito accordo protezionistico...
Pietro Ichino ripropone, come in una cronaca giornalistica, emblematiche vicende del difficile stato delle relazioni sindacali nell'Italia contemporanea: dal caso dell'Alitalia, dove le hostess sembrano ammalarsi a comando per scioperare anche quando è proibito, a quello del ministro del lavoro che appoggia il sindacato che le organizza; dalle agitazioni che interessano due volte al mese ferrovie e trasporti urbani alla vicenda degli uomini radar, che scioperano anche perché durante lo sciopero non perdono la retribuzione. E ne prende spunto per formulare una proposta di riforma che assume anch'essa il carattere di una scommessa comune a tutte le parti responsabili del futuro economico dell'Italia.