Nel 1994 l'economista inglese Hosea Jaffe componeva questo breve libro unendo tre testi e realizzando un'opera totalmente politically incorrect. La Germania stava prendendo per mano l'Europa, non solo per farle pagare la sua unificazione, ma per costringere i Paesi europei mediterranei a un'impossibile rincorsa al PIL e ad altri parametri dello sviluppo, distraendoli da politiche sociali, cioè da quella conquista che fu lo "Stato sociale". Politiche di ostacolo al progetto delle multinazionali tedesche - e non solo tedesche - e della Bundesbank, il tutto con l'aggiunta del keynesismo di guerra, il ricorso, cioè, a guerre locali devastanti ed ecologicamente catastrofiche, spesso giustificate con pretesti umanitari. La Comunità Europea, trasformata in Unione Europea dell'Euro, seguendo la Germania, ha aumentato il divario poveri/ricchi all'interno e ha reso neocolonia il suo Est. Ha condotto alla crisi profonda i suoi membri mediterranei e non solo, ha reso abituale il ricorso a interventi militari, ha esautorato il pensiero e l'azione politica. L'economista inglese di origine sudafricana, allora nei suoi 74 anni, aveva previsto con drammatica lucidità la corsa nel fosso dei Paesi europei, come i ciechi del dipinto di Bosch. Ripubblicare questo libro, a diciotto anni di distanza, ha il significato di dirsi che "capire è possibile": si vedeva da allora la corsa allegorica nel fosso dei Paesi europei e i costi deflagranti per le periferie dell'Europa e per altri Paesi colonizzati dall'Europa stessa.
«Nel 1997, con il titolo Sudafrica. Storia politica, usciva in italiano una nuova edizione, rielaborata e aggiornata in modo sostanziale, del mio volume pubblicato per la prima volta nel 1952 a Città del Capo con il titolo 300 Years. A history of South Africa. Quanto scrivevo nella Conclusione del 1997 è stato confermato dagli eventi che si sono susseguiti fi no al 2010, quando il Sudafrica ospita il Campionato del mondo di calcio. L’euforia successiva alle elezioni del 1994, che furono incoronate dalla presidenza di Nelson Mandela, iniziò già a trasformarsi in una diffusa delusione quando il presidente portò l’ANC in un’instabile coalizione con il National Party di Frederick de Klerk, espressione del mondo dei coloni bianchi. Ma nei primi tre anni del "nuovo" Sudafrica, mentre le grandi compagnie straniere e quelle dei coloni, che si muovevano all’interno e nell’orbita della Chamber of Mines, i reali padroni del Sudafrica, esportavano capitali e profi tti, il cambio del rand rispetto al dollaro americano cadde del 30%. Il "potere nero" stava già perdendo la sua gara con il "capitale aureo". Quando il prezzo dell’oro crebbe oltre il valore del suo punto critico di equilibro, 330 dollari l’oncia, fi no a schizzare alle stelle oltre i 1.300 dollari l’oncia nel 2010, all’aumento si accompagnarono tanto la disillusione quanto le aspettative e le ottimistiche speranze espresse anche dal terzo presidente, Jacob Zuma, che gode ancora di diffusa popolarità. Nello stesso tempo il fl usso migratorio nei ghetti urbani crebbe di sette milioni di persone e parallelamente centinaia di migliaia di "bianchi" si trasferirono all’estero oppure nei nuovi quartieri suburbani di lusso. Come l’oro, anche il razzismo sta vincendo la gara con il Sudafrica "non razzista".
Al centro di questo grave deterioramento delle condizioni di vita di 45 dei 50 milioni di sudafricani, ci sono due realtà organicamente connesse e i problemi che esse pongono: il monopolio quasi esclusivo della terra e del lavoro africano a basso costo nelle mani di quel gigante capitalista e coloniale che è la "Chamber of Mines" e l’enorme e innaturale esodo di popolazione e povertà dalle campag"Pass laws", le leggi che, per tutelare l’apartheid, limitavano la libera circolazione all’interno del paese.
Il volume Sudafrica. Storia politica ripropone il compito urgente e terribile di far fronte a questo problema negli anni a venire». (dalla prefazione dell’autore)
Una radicale messa in questione del sistema economico mondiale
Il capitalismo era così inevitabile come spesso si afferma e si suppone? Il modo di produzione capitalistico e la sua struttura sociale furono migliori o peggiori rispetto ad altri modi sperimentati dalle società umane? Jaffe cerca la risposta sul piano storico e su quello politico. Ripercorre a grandi tappe la storia delle maggiori aree del mondo e ne mostra le variate linee di sviluppo, interrotte tutte dall’impatto violento con il mondo dei soldati, degli amministratori, degli imprenditori, che dall’Europa e poi anche dagli Stati Uniti d’America si impadronirono dei loro commerci e della loro economia, determinandone le trasformazioni politiche e sociali. Questo dominio produsse innumerevoli vittime, distrusse città e opere d’arte, destrutturò economie e reti di commercio, con un bilancio che resta fortemente negativo per la maggior parte del mondo, che lo subì. Dall’inizio e fino ad oggi, prima il colonialismo, poi l’imperialismo alimentano in modo decisivo il capitalismo occidentale. Questo processo disegna la grande divisione tra i paesi che producono il plusvalore del mondo e i paesi che lo incassano. Marx capì l’importanza essenziale del colonialismo per la nascita del capitalismo, ma, contrariamente a Lenin, gli sfuggì il ruolo determinante che esso continuava ad avere, nella forma dell’imperialismo. Malgrado le aspettative del marxismo eurocentrico, nei paesi che vivono del plusvalore internazionale e lo redistribuiscono al loro interno non si è mai formata una classe in grado di realizzare una rivoluzione socialista, tanto meno di guidarne la diffusione mondiale. Le uniche rivoluzioni socialiste cui abbiamo assistito nel secolo scorso sono avvenute in alcuni dei paesi produttori di plusvalore, i cui contadini e operai lottarono per liberarsi dalla dipendenza dal capitalismo. Se il parametro di giudizio è l’umanità che compie il suo destino di libertà e uguaglianza, possiamo ancora dire che il capitalismo fu necessario?
Il mondo contemporaneo vede realizzato il più grande abbandono della storia dell'umanità: un "terzo mondo" costretto e abbandonato alla deriva dal "primo mondo". Abbandono è la scelta che un paese e una classe del "terzo mondo" fanno di abbandonare la propria posizione di dipendenza e desolazione per ritrovare la positività del proprio essere, la propria libertà. Abbandono è anche la loro scelta di abbandonare quanti -classi e nazioni, istituzioni internazionali e aziende multinazionali -si sono imposti nella loro vita economica e politica avviluppandoli nei legami della globalizzazione, commerciale e finanziaria, per tornare ad utilizzare in prima persona le proprie risorse e le proprie potenzialità. Abbandono è l'invito rivolto alla sinistra europea ad abbandonare la propria inerenza di nazione e di classe al "primo mondo", in particolare all'Europa, per costruire una relazione non imperialista con la maggioranza del mondo.
Questa breve opera sembra porre una tematica anacronistica. Lo scritto di Jaffe infatti si interroga su Engels, Marx e i marxisti di fronte al colonialismo. Di fatto il libro, che andrebbe colto all'interno dell'enorme lavoro di Jaffe sul colonialismo, ha una grande attualità a due livelli di analisi. Il primo livello concerne il fatto che il colonialismo non è né una fase né tanto meno una deriva del nostro modo di sviluppo e perciò di quelle che possiamo chiamare le società a capitalismo avanzato. Il colonialismo ne è una modalità costante, la cui pratica oggi è continuamente verificabile. Il secondo livello di analisi interviene a leggere la difficoltà che a comprendere la logica del colonialismo hanno avuto da sempre le élite progressiste europee e occidentali. In questo Jaffe va alle radici di un fraintendimento. Individua nel meccanismo di Engels quella cecità rispetto alla menzogna coloniale che rende distratto oggi molto progressismo occidentale. Questa cecità non è ravvisabile nei grandi scritti di Marx, sia pur presente in certi suoi giudizi storici, specie riguardo a Lincoln. Anzi, in Marx il colonialismo è colto come l'origine del capitalismo. In questo Marx vede la globalizzazione, oggi tanto conclamata, come la peculiarità originaria del capitalismo, nato con e dal colonialismo. Il protocapitalismo della protoborghesia europea cittadina del tardo Medioevo non sarebbe mai fiorito senza il colonialismo.
Il volume ripercorre la rotta che dal colonialismo ha portato all'imperialismo, di stampo principalmente europeo e da questo alla necessaria nascita, nello scenario della competizione globale e dello scontro tra potenze, degli imperialismi. Il testo è corredato da una appendice sulle caratteristiche dei mercati monetari e del loro ruolo nella lotta tra gli imperi. Una cronologia delle guerre coloniali e numerose schede sui paesi interessati dai conflitti chiudono il libro.
Questo breve saggio di Hosea Jaffe affronta il tema dell'importanza della duplice piattaforma petrolio-automobile per il cosiddetto sviluppo dell'economia internazionale e le conseguenze che questo binomio ha nella vita di tutti noi, sia a livello quotidiano sia su scala mondiale: secondo l'autore l'accoppiata petrolio-auto è causa di molti conflitti del passato, del presente e lo sarà anche per il futuro. Jaffe mette in evidenza le ricadute negative di questa industria sia come costo in vite umane, sia come danno per l'ambiente, sia come fattore di sviluppo imperialistico. Per favorire lo sviluppo dell'industria auto-petrolio, inoltre, non si è dato corso allo sviluppo delle ferrovie e del trasporto pubblico.
Chi e dove è il colono di oggi nel mondo? Queste brevi e dense pagine concernono l'attuale condizione del mondo e del Pianeta e perciò anche l'attuale condizione degli italiani e di Milano dove viene pubblicato il libro. Perché il mondo non diventi Fort Apache.
Azienda Mondo è l'ordine mondiale, in nome del quale si interviene con armi per portare la pace. Azienda Mondo è anche una scala di valutazioni, svolte sulla base della scelta fondamentale di uno sviluppo senza sosta che, per essere tale, deve produrre distruzione naturale e umana e mantenere in stato di indigenza e avvilimento una controparte. Azienda Mondo è questa struttura perversa che funziona a livello mondiale e di cui il nostro paese si vanta di essere parte. E' possibile non accorgersi, né da destra né da sinistra, del sistema a cui ci si affida, per il semplice motivo che è scomodo alzare lo sguardo ed è facile restare attaccati a un treno in corsa, l'ultima vettura agganciata al treno della Banca Centrale della nuova Europa.