In un’epoca che ha visto la progressiva erosione del giornalismo basato sui fatti e ha risentito la mancanza di intellettuali pubblici indipendenti, Tony Judt ha svolto un ruolo raro e prezioso, mettendo insieme storia e attualità, Europa e America, e raccontando il mondo com’era un tempo e com’è oggi. In Quando i fatti (ci) cambiano, la storica Jennifer Homans, vedova di Tony Judt, ha raccolto gli articoli più importanti scritti dal marito durante gli ultimi quindici anni della sua vita. La sua voce nella sfera pubblica amplifica le sue ricerche storiche: l’idea e la realtà dell’Europa; Israele, l’Olocausto e gli ebrei; la superpotenza americana e il mondo dopo l’11 settembre; l’inclusione e la giustizia sociale nel nostro tempo di crescenti disuguaglianze. Judt era convinto che il suo vero compito non fosse dire ciò che qualcosa non è bensì ciò che è: raccontare una storia convincente e ben scritta sulla base dei dati disponibili e farlo tenendo presente ciò che è giusto. Per Judt questo non era solo il suo dovere di storico, ma una responsabilità morale. Quando i fatti (ci) cambiano è una testimonianza della sua eredità.
Nel 1945 l'Europa è in ginocchio. La guerra ha lasciato ovunque macerie morali e materiali. Milioni di persone vagano per il continente alla ricerca di un luogo sicuro, della salvezza o di un vagheggiato ritorno a casa. Su questo panorama sta per calare una cortina di ferro che la dividerà in blocchi ideologici contrapposti. Oggi, a quasi trent'anni dalla caduta del muro, le 'due Europe' sono soltanto un ricordo. In un continuo confronto tra Est e Ovest, Tony Judt, una delle figure intellettuali più incisive del nostro tempo, riscrive la storia del dopoguerra a partire da un'interpretazione inedita: quell'anno fatale non è stato l'inizio di una nuova epoca, piuttosto l'avvio di una fase di transizione durata per oltre mezzo secolo. Da una parte seguiamo gli eventi che dalla rivolta ungherese del 1956 portano alla primavera di Praga, al crollo dell'URSS e al divampare dell'odio etnico nell'ex Iugoslavia. Dall'altra il Piano Marshall, le dittature fasciste di Franco e Salazar, la decolonizzazione e l'immigrazione, il '68, il pontificato di Karol Wojtyla. In questo mosaico stanno fianco a fianco con pari dignità gli effetti del boom economico, il movimento femminista, il cinema italiano, i Beatles e le mode giovanili. Il risultato è un affresco epico e attento ai dettagli, capace di restituire il carico di speranze e di fiducia nel futuro che ha rimesso in marcia il nostro continente.
Questo libro parla del ventesimo secolo che "comincia con una guerra mondiale catastrofica e finisce con il crollo della maggior parte dei sistemi di credenze dell'epoca: non può certo attendersi un trattamento affettuoso a posteriori. Dai massacri degli armeni alla Bosnia, dall'ascesa di Stalin alla caduta di Hitler, dal fronte occidentale alla Corea, il ventesimo secolo è un incessante susseguirsi di sventure umane e sofferenze collettive dalle quali siamo emersi più tristi, ma più saggi". Questa è una storia delle idee politiche moderne in Europa e negli Stati Uniti, di parole come potere e giustizia, così come sono state intese dalla fine del diciannovesimo secolo all'inizio del ventunesimo. È una riflessione sui limiti (e sulla capacità di rinnovamento) delle idee politiche, e sulle carenze (e sugli obblighi) morali degli intellettuali. È anche il racconto del secolo che ha incrociato la vita e il percorso intellettuale di Tom Judt, un suo narratore.
Questo libro parla del ventesimo secolo che "comincia con una guerra mondiale catastrofica e finisce con il crollo della maggior parte dei sistemi di credenze dell'epoca: non può certo attendersi un trattamento affettuoso a posteriori. Dai massacri degli armeni alla Bosnia, dall'ascesa di Stalin alla caduta di Hitler, dal fronte occidentale alla Corea, il ventesimo secolo è un incessante susseguirsi di sventure umane e sofferenze collettive dalle quali siamo emersi più tristi, ma più saggi". Questa è una storia delle idee politiche moderne in Europa e negli Stati Uniti, di parole come potere e giustizia, così come sono state intese dalla fine del diciannovesimo secolo all'inizio del ventunesimo. È una riflessione sui limiti (e sulla capacità di rinnovamento) delle idee politiche, e sulle carenze (e sugli obblighi) morali degli intellettuali. È anche il racconto del secolo che ha incrociato la vita e il percorso intellettuale di Tom Judt, un suo narratore.
"C'è qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro modo di vivere, oggi. Per trent'anni abbiamo trasformato in virtù il perseguimento dell'interesse materiale personale: anzi, ormai questo è l'unico scopo collettivo che ancora ci rimane. Sappiamo quanto costano le cose, ma non quanto valgono. Non ci chiediamo più, di una sentenza di tribunale o di una legge, se sia buona, se sia equa, se sia giusta, se sia corretta, se contribuirà a rendere migliore la società o il mondo. Erano queste, un tempo, le domande politiche per eccellenza, anche se non era facile dare una risposta. Dobbiamo reimparare a porci queste domande. Abbiamo visto come lo spettro del terrorismo sia sufficiente a seminare lo scompiglio in democrazie stabili. I cambiamenti climatici avranno conseguenze ancora più drammatiche. Le persone saranno costrette a far ricorso alle risorse dello Stato, si rivolgeranno ai loro leader e rappresentanti politici per chiedere protezione: le società aperte torneranno a ripiegarsi su se stesse, sacrificando la libertà in nome della 'sicurezza'. La scelta non sarà più fra Stato e mercato, ma fra due tipi di Stato. Spetta a noi, dunque, riconsiderare il ruolo del governo. Se non lo faremo noi, lo faranno altri."
"Tutti questi scritti si basano quasi esclusivamente sulle visite notturne al mio chalet della memoria e sul lavoro di recupero del contenuto di tali visite. Alcune sono introspettive, e cominciano da una casa, da un autobus o da un uomo; altre sono rivolte all'esterno, e abbracciano decenni di osservazione e impegno politici e continenti in cui ho viaggiato, insegnato, scritto." Questa è un'autobiografia insolita che racconta scorci di mondo appena passato. L'amore giovanile per Londra è lo spunto per Judt per parlare di educazione civica e urbanistica, a cavallo delle due guerre; i ricordi sulle rivolte dei giovani parigini nel 1968 divagano sulle differenti politiche sessuali in Europa per arrivare a concludere che quella fu una generazione di rivoluzionari che dimenticò la rivoluzione; i lunghi viaggi attraverso l'America sono un modo per acquisire piena cittadinanza di quel paese; cibi, treni, profumi conservano l'aroma nel tempo: tutto è degno di attenzione per Tony Judt. Tutto, soprattutto, è così semplicemente e meravigliosamente scritto che seguirlo nelle sue memorie diventa, per ogni lettore, un'occasione per conoscersi.
L'età dell'oblio è un affresco in cui le varie parti si integrano coerentemente alla luce di un obiettivo unitario: denunciare la frettolosa rimozione dell'eredità intellettuale, economica e istituzionale del Novecento.
Alberto Martinelli, "Corriere della Sera"
Un libro che indica l'incapacità di fare i conti con la storia come uno dei mali peggiori della coscienza pubblica dei nostri anni. La profondità analitica e la stessa qualità della scrittura di Tony Judt hanno fatto di lui una figura di primissimo piano negli studi sul mondo contemporaneo.
Giuseppe Berta, "Il Sole 24 Ore"
Il richiamo alla responsabilità degli intellettuali verso la società, al loro dovere di tenere vivo il ricordo del passato anche nei suoi aspetti più sgradevoli, è un filo conduttore dell'opera di Judt. A questa difficile consegna lo storico inglese è rimasto fedele con grande coerenza.
Antonio Carioti, "Corriere della Sera"
L'autore della più rivoluzionaria storia d'Europa dell'ultimo secolo, ha raccontato in questo libro le rimozioni del '900: lui, ex fervente marxista che si definiva un socialdemocratico universalista.
Angelo Aquaro, "la Repubblica"
Questo è un libro appassionato, saggio, lucido, capace di guardare in modo approfondito sia al passato che al futuro. È un regalo ai giovani che oggi si sentono smarriti e non per mancanza di obiettivi. La causa della loro inquietudine è il mondo che ricevono in eredità e i pochi mezzi che hanno per trasformarlo. Questo libro, summa degli interessi di una vita intera, è dedicato al loro futuro e a tutti noi che vogliamo farne parte.
I ricchi, come i poveri, ci sono sempre stati. Ma rispetto al resto della popolazione i ricchi, oggi, sono più ricchi e più numerosi di qualsiasi altra epoca di cui si abbia memoria. Il privilegio privato è facile da capire e da descrivere. Più complicato è spiegare l'enormità dello squallore pubblico in cui siamo precipitati. La povertà è un'astrazione, perfino per i poveri, ma i sintomi di un impoverimento collettivo sono tutti intorno a noi. Qualcosa che non va c'è, e non è trascurabile. Se una simile, grottesca disuguaglianza persisterà, perderemo qualsiasi senso di fratellanza; e la fratellanza, per quanto fatua come obiettivo politico, è la condizione necessaria della politica stessa. Inculcare il senso di uno scopo comune e di una dipendenza reciproca per molto tempo è stato visto come il pilastro di qualsiasi comunità. Sappiamo da sempre che la disuguaglianza non è solo fastidiosa moralmente: è inefficiente. L'egoismo è scomodo perfino per gli egoisti.
Guasto è il mondo è una sfida politica alla politica: farci carico dei mali della nostra società e immaginare un modo migliore di vivere.
In un flusso narrativo ininterrotto, Tony Judt fa il punto su quanto è accaduto in Europa dal 1945 a oggi: "Con troppa sicurezza e poca riflessione, ci siamo lasciati alle spalle il ventesimo secolo. Ci siamo affrettati a liberarci del suo bagaglio economico, intellettuale e istituzionale. Non abbiamo fatto in tempo a lasciarcelo alle spalle, che i suoi dissidi e i suoi dogmi, i suoi ideali e le sue paure stanno già scivolando nelle tenebre dell'oblio. Non solo non siamo riusciti a imparare granché dal passato ma ci siamo convinti - nelle previsioni economiche, nelle questioni politiche, nelle strategie internazionali, persino nelle priorità educative - che il passato non ha nulla di interessante da insegnarci. Sulla base del principio che quello era allora e questo è adesso, tutto quanto avevamo imparato dal passato non andava ripetuto. Il nostro, insistiamo, è un mondo nuovo; i rischi e le opportunità che ci offre non hanno precedenti." Eppure se vogliamo comprendere il mondo nel quale viviamo dobbiamo conoscere quello dal quale siamo appena usciti. "Il passato recente potrebbe accompagnarci ancora per qualche anno. Questo libro è un tentativo di renderlo più comprensibile." Dall'Olocausto alla spinosa questione del "male" nella comprensione del passato europeo, dall'ascesa e declino del ruolo dello Stato a quello degli intellettuali del Novecento, Tony Judt stila un compendio delle cieche illusioni dei nostri anni.