Nell'Antropologia Immanuel Kant riordina la mole immensa di materiali di carattere storico e antropologico raccolti nell'arco di un'intera vita. Opera a lungo trascurata, si tratta in realtà di una tappa decisiva di un'epoca che stava per convertire le domande fondamentali della storia della metafisica, della gnoseologia, della morale e della religione in quella che per Kant era ormai diventata la domanda essenziale: Che cos'è l'uomo? Si inaugurava cosí la nostra modernità filosofica, che vedrà nell'uomo non solo l'origine e il fondamento di ogni sapere, ma anche la ragion d'essere e il principio di ogni trasformazione del mondo e di ogni intervento su di esso. L'antropologia kantiana indaga infatti l'uomo come essere sociale trasformato dalle istituzioni, al fine di svilupparne le attitudini, dotarlo di costumi, rafforzarne le facoltà, disciplinarne la volontà, orientarne i desideri e governarne la libertà.
Michel Foucault incontra l'Antropologia di Kant verso la fine degli anni cinquanta, facendone l'oggetto della sua tesi complementare, costituita dalla traduzione del testo kantiano, accompagnata da un lavoro di annotazione e dal testo che funge da Introduzione. Il saggio ci appare oggi la cartografia del terreno che da allora il filosofo francese avrebbe dissodato fino alla morte, contenendo molti dei temi fondamentali della sua riflessione, dal sonno antropologico e la finitudine umana all'archeologia delle scienze umane e alla questione della prossima scomparsa dell'uomo nella configurazione dei saperi e dei poteri che prenderà il nome di biopolitica, agli ultimi interventi sulla questione dell'Illuminismo e il problema del governo e della governamentalità.
El ensayo filosófico Sobre la paz perpetua, publicado por Kant en 1795, poco después de la paz de Basilea entre Francia y Prusia, esboza un orden de paz permanente entre los Estados que se presenta, asimismo, como la meta final de la historia humana. Desde esta meta final de la paz perpetua se explica también la necesidad de una constitución republicana en cada Estado, necesaria, a su vez, para el desarrollo en plenitud de las disposiciones naturales antagónicas del hombre (su insociable sociabilidad). La instauración de la paz perpetua cuenta, por tanto, con la garantía última que ofrece la propia naturaleza humana al utilizar el antagonismo como una argucia hacia la concordia. Si bien esta garantía no es suficiente para vaticinar un futuro de paz, sí lo es para obligar a los hombres a trabajar en la consecución de ese anhelado fin. La paz permanente entre los Estados se revela, por tanto, como el corolario indispensable de la conjunción de los principios de la política interna y de la política exterior. Este pequeño ensayo remite necesariamente a otras obras de Kant, anteriores y posteriores a 1795, en las que desarrolla más detalladamente su filosofía de la Historia, así como su concepción del Estado y del Derecho.
Intorno a un tema quanto mai controverso, antico e pur sempre attuale, quale quello della menzogna, si affrontano in questo volume due grandi filosofi che rappresentano anche due differenti scuole di pensiero, l'una pienamente radicata nella Francia del dopo-rivoluzione, l'altra che proviene invece dalla vicina Germania. L'occasione è data da un breve trattato scritto nel 1797 dall'allora trentenne Benjamin Constant, che, sotto il titolo "Delle reazioni politiche" disquisisce intorno alla possibile legittimità, in precisi contesti, della menzogna. L'intervento di Constant è centrato sulla necessità che i princìpi universali, per essere accettati anche sul terreno concreto, debbano a loro volta fondarsi su princìpi definiti "intermedi" tali cioè da permetterne la concatenazione con la realtà effettiva. Ma Constant, mentre cerca di definire questa sua teoria, critica la riflessione di Immanuel Kant che "persino di fronte a degli assassini che vi chiedessero se il vostro amico, che loro stanno inseguendo, si sia rifugiato in casa vostra, la menzogna sarebbe un crimine". E il "filosofo tedesco" (così lo definisce, un po' sbrigativamente, Constant), chiamato in causa, risponde da par suo con "Su un presunto diritto di mentire per amore dell'umanità" nel quale ribatte punto su punto al "filosofo francese". E così che questo confronto acquista oggi, un significato emblematico, e anche al di là del tema, pur sempre centrale, che costituisce l'oggetto di questa querelle di fine Settecento.
Come ha scritto Jacob Taubes, nelle pagine de "La fine di tutte le cose" l'opera forse più ingiustamente trascurata dell'ultima fase della vita del grande maestro di Konigsberg - Kant conduce l'ambizioso progetto filosofico di "tradurre le dichiarazioni metafisiche dell'escatologia cristiana in una sorta di escatologia trascendentale". L'escatologia trascendentale ruota attorno a un duplice interrogativo: perché, in generale, gli uomini si aspettano una fine del mondo? E se questa viene anche loro concessa, perché proprio una fine che, per la maggior parte del genere umano, fa paura? Per Kant l'antica profezia apocalittica di San Giovanni prefigura, in simboli e immagini, il limite estremo della stessa attività del pensare, delineando la struttura paradossale di un "concetto con cui, al tempo stesso, l'intelletto ci abbandona e, addirittura, ha fine ogni pensiero".
Questo testo occupa un posto del tutto particolare nel lungo itinerario filosofico di Kant: progettata fin dagli anni Sessanta, costituisce l'opera che completa la filosofia critica e sistematizza le questioni poste dall'etica e dal diritto. Il testo è arricchito da una serie di appendici documentarie utili per capire in che modo i contemporanei leggevano Kant e da una postfazione su alcune linee di tendenza delle interpretazioni più recenti.
Le opere fondamentali del pensiero filosofico di tutti i tempi. In edizione economica, con testo a fronte e nuovi apparati didattici, le traduzioni che hanno definito il linguaggio filosofico italiano del Novecento. Testo originale nell'edizione dell'Accademia delle Scienze di Berlino, ricontrollato sulla prima edizione del 1797.
La "Critica della ragion pura" ebbe, vivente Kant, cinque edizioni. Importanti sono soprattutto le prime due, del 1781 e del 1787, per lunghi tratti diverse tra loro. Alla seconda edizione si rifaceva nel 1904 l'Accademia delle Scienze di Berlino per stabilire l'editio princeps dell'opera, e su questo testo veniva condotta nel 1909-1910 la classica traduzione di Gentile e Lombardo Radice qui ripresentata nella revisione curata da Vittorio Mathieu.