Stati d'animo, pensieri, considerazioni sull'Italia di oggi, sul nostro tempo, sul disagio di questi anni di fronte a un mondo sempre meno preparato ad affrontare la crisi, non solo economica, che lo attraversa, e la violenza che da ogni parte lo investe.
Nascono così questi Esercizi superficiali, titolo in assonanza con "esercizi spirituali" che allude alla concentrazione necessaria per sottrarsi al linguaggio della falsa profondità, e richiama il volo lieve della libellula, simbolo della nuova collana che questo testo inaugura. E dunque proprio al linguaggio si affidano queste prose brevi e d'occasione, seguendo gli umori del momento ponendosi in rapporto alla situazione politica, trasferita però in una dimensione diversa, di carattere letterario.
Guidati dal senso comune e dalla logica elementare contrapposta alla logica ideologica, questi esercizi sono gli exempla di uno stile semplice che aspira alla leggerezza e nasconde la fatica che ci vuole per raggiungerla.
Così lo spazio in cui si muovono è la letteratura, che si intreccia alla politica, e la politica alla vita, le riflessioni si saldano ai sentimenti, ai dubbi e agli interrogativi cui è difficile dare una risposta. E infatti il libro si chiude con uno sguardo al cielo stellato, mentre il cri cri cri del grillo rivolge la sua vana domanda nel silenzio notturno dell'universo.
Roma anni '60, la Roma più bella, più vivace e intensa intellettualmente, più accogliente coi caffè di via Veneto e piazza del Popolo affollati fino alle ore piccole della notte, col cinema, il teatro, la Roma della Belle Époque, l'ultima e splendida prima degli anni di piombo. In questa Roma è ambientata la storia di Kiki e Giovanni, due amici dell'autore, due "belli e dannati" di quegli anni. "Felice non si dice e chi lo dice è già infelice" è lei, Kiki, che commenta cosi la sua storia con Giovanni.
Dal 1999 al 2008 Emanuele Trevi ha registrato un gran numero di conversazioni con Raffaele La Capria, "decano" degli scrittori italiani puntualmente riscoperto da nuove generazioni di critici e lettori. Ne è nata una sorta di diario e insieme di autobiografia che dalla Napoli degli anni Trenta giunge fino a noi oggi. Una Napoli che è stata fonte di ispirazione inesauribile, definita dall'autore stesso "metafora di un conflitto tra personaggio e uomo, tra un'idea di sé astrattamente compiuta e la fatale insufficienza di questo progetto di personalità". Stimolato da una particolare atmosfera di confidenza e amicizia con l'intervistatore, La Capria traccia un autoritratto pieno di luci e ombre, ripercorrendo i momenti cruciali della letteratura italiana del Novecento.
È vero che da ogni scrittore si potrebbe trarre il suo proprio, personalissimo bestiario, rintracciabile nelle sue opere o nascosto nel suo inconscio. Prima di trovarsi di fronte alle pagine che presentiamo, difficilmente si sarebbe pensato a La Capria come a uno scrittore "animalista". E invece. Invece adesso possiamo dire che pochi scrittori hanno dimostrato verso gli animali tanta partecipe tenerezza, tanta simpatia nel senso etimologico di capacità di patire insieme. Un'empatia che si esercita verso le creature più tradizionalmente "amiche dell'uomo", come il fedele e amatissimo cane Guappo, ma anche verso quelle più apparentemente aliene. Per esempio, la privazione della libertà che provoca il nobile avvilimento di un felino dietro le sbarre è la stessa che sconvolge il muto destino di un pesce dietro la lastra vetrata di un acquario; la sofferenza che vela lo sguardo supplice di un cane non appare meno ingiusta quando sfolgora sotto la palpebra rugosa di una civetta. Messi l'uno dopo l'altro questi brani, tra i quali si riconoscono facilmente alcuni luoghi classici della produzione lacapriana, acquistano una luce nuova. Sprigionano tanta forza nel mettersi dalla parte degli ultimi, degli esseri che non hanno la parola per farsi udire, che la prosa di La Capria sembra allargarsi ad abbracciare una forma di comunicazione più vasta, l'empatia profonda che mette in armonia l'uomo con tutte le altre creature.
Raffaele La Capria ha sempre pensato a se stesso come all'autore di una sola opera, un unico work in progress formato dai libri che via via è andato pubblicando. Per questa ragione non c'è libro che nel corso degli anni egli non abbia riscritto e commentato, mescolando in modo originale e libero la narrativa con la saggistica. Questo Meridiano, curato da Silvio Perrella, giovane critico da tempo amico ed esegeta di La Capria, si è dunque trasformato in una sfida letteraria: quella di realizzare il suo desiderio di un'opera racchiusa in solo libro.
Partendo dal presupposto che "siamo troppo civilizzati per riuscire ad afferrare ciò che è ovvio" e che ciò che è ovvio può essere meglio recuperato dal senso comune, l'autore tocca i vari argomenti (dall'arte alla letteratura alla politica) con tono ironico e paradossale. Un libro sulla libertà e l'indipendenza intellettuale che nasce dal desiderio di sottrarsi al conformismo della cultura degradata di massa che minaccia di privare l'individuo della propria originalità impoverendone la sensibilità e la capacità di pensare in modo autonomo.
Quali sono i temi della lunga conversazione che in questo libro Raffaele La Capria intrattiene con il lettore? Sono diversi ma insieme compongono un percorso che inizia con la parola "simpatia", la simpatia vista come forma di conoscenza che aiuta a comprendere il mondo e soprattutto a immaginare chi è l'altro, il diverso da noi, e a essere coinvolti dalla sua sofferenza. A questo tipo di simpatia si adegua tutto il libro e anche la sua scrittura, che aspira, per quanto è oggi possibile, "alla rinconciliazione, all'implicito, all'interezza, più che alla divisione, all'esplicito, alla separatezza". Così è lo stile dell'anatra che non fa vedere il tumultuoso agitarsi delle zampette palmate sott'acqua ma solo il suo tranquillo scivolare sull'acqua.