Con L’Età della Conquista, si inaugura un grande progetto quinquennale dal titolo I giorni di Roma teso a restituire un’idea complessiva del modo in cui Roma riuscì a elaborare il proprio linguaggio artistico a partire dalla cultura figurativa greca. Questo primo “capitolo” – pubblicato in occasione della grande mostra ai Musei Capitolini curata da Eugenio La Rocca e Claudio Parisi Presicce, con allestimento di Luca Ronconi e Margherita Palli – parte dal momento di formazione dell’Impero romano, quando Roma espande progressivamente il proprio controllo su tutto il bacino del Mediterraneo, dalla Spagna alle coste dell’Asia Minore, divenendo l’unica potenza egemone sull’intero bacino del Mediterraneo. Nel periodo successivo alle campagne di conquista in Grecia, dalla fine del III secolo alla seconda metà del I a.C, si assiste alla formazione di un linguaggio figurativo, squisitamente romano, che fa tesoro di tutta la cultura artistica greca, che nel tempo viene recepita, assorbita e modificata. È questo il periodo in cui l’élite al potere avverte, con sempre maggior consapevolezza, il consolidarsi del proprio prestigio e lo esprime attraverso l’arte, un’arte che, assorbiti gli elementi fondanti della cultura greca, costruisce su quelle solide basi un nuovo e duttile linguaggio universale, capace di adattarsi alle esigenze del nuovo impero. Tra i periodi più complessi e originali nel campo dell’arte occidentale, la formazione e la seguente supremazia di questo particolare linguaggio figurativo in tutto il bacino del Mediterraneo vengono descritte e presentate nel volume attraverso un’accurata selezione di opere d’arte – statue, cicli scultorei e rilievi in marmo, in bronzo e in terracotta, destinati a edifici pubblici e privati – provenienti dai principali musei europei. Articolato in quattro sezioni (Dèi e santuari; Monumenti onorari; Vivere alla greca; Costumi funerari), il catalogo delle opere documenta un’epoca di profondi cambiamenti nei canoni stilistici e nel gusto estetico della Roma antica. Un periodo in cui l’influenza ellenica diventa preponderante fino a coinvolgere completamente il mondo culturale romano.
Il volume è il catalogo della mostra di Roma (Scuderie del Quirinale, 24 settembre 2009 - 17 gennaio 2010). Attraverso un'ampia selezione di opere provenienti dai principali musei del mondo (tra gli altri, dagli scavi di Pompei e dal Museo Archeologico di Napoli, dai Musei Vaticani, dalla sede di Palazzo Massimo del Museo Nazionale Romano, dal Louvre di Parigi, dal British Museum di Londra, dal Pushkin di Mosca, dai musei archeologici di Monaco, Francoforte, Zurigo), la mostra intende esaminare analiticamente singoli frammenti di affreschi, pitture su legno o su vetro, cercando di misurarne, in base alle tecniche artistiche, alle composizioni, ai soggetti, il livello formale cui era giunta la pittura nel mondo romano, dal I secolo a.C. alle soglie del tardo-antico e dell'età bizantina. I saggi in catalogo (scritti da illustri studiosi dai diversi profili specialistici) si propongono il raggiungimento di obiettivi saldamente storici. Ciò che interessa è la costruzione degli spazi pittorici secondo canoni talvolta distanti da quelli moderni, come ben si vede nel caso delle vedute paesistiche, in cui spicca la distanza rispetto al sistema di prospettiva lineare, per noi ormai abituale; è la persistenza della memoria dell'antico (dai ritratti del Fayyum alle prime icone cristiane del Sinai); è lo studio delle tendenze e delle varianti che attraversano l'universo pittorico romano; è l'analisi dei procedimenti, delle tecniche, delle tradizioni di bottega.
Il genere "paesaggio" è sostanzialmente estraneo alla cultura figurativa greca e romana. I paesaggi raffigurati sulle pareti delle case romane sono paesaggi tipizzati, con un continuo ripetersi degli stessi motivi, e con una noncuranza per un qualsivoglia sistema prospettico costruito secondo una logica matematica unitaria. Ogni pittura è composta da oggetti che vivono più o meno isolatamente dagli altri in uno spazio continuamente negato come elemento unificante. Era diffusa, invece, la pittura cartografica che voleva la mano di veri pittori di paesaggi, detti "topographoi", i quali, pur adottando le medesime tecniche e formulazioni prospettiche della grande pittura di fantasia, producevano vere e proprie carte "corografiche", come la Città dipinta dal Colle Oppio o la Zuffa tra Pompeiani e Nucerini presso l'anfiteatro da Pompei, simili per molti versi a quelle moderne prodotte lungo la Galleria delle Carte Geografiche nei Palazzi Vaticani.