«Sii te stesso» è il mantra della contemporaneità, il comandamento che domina incontrastato nella nostra epoca. L'etica dell'autenticità è dilagata nei consumi, nella politica, nella sessualità, nel rapporto con la famiglia, il lavoro e la religione, persino nel turismo, nel cibo, nella moda e nella cosmesi. Essere se stessi non è più un dovere morale, ma un diritto, un valore di culto, la maggiore aspirazione nella «modernità democratica». L'autenticità sembra essere il rimedio a tutti i nostri mali, ma può davvero plasmare il destino dell'umanità? Nel descrivere l'evoluzione di questa ideologia dall'Illuminismo ai giorni nostri, il filosofo e sociologo francese Gilles Lipovetsky indaga gli effetti antropologici scaturiti dall'imperativo di essere se stessi e ripercorre le tappe della sua secolare odissea - la fase eroica, dalla seconda metà del xviii secolo agli anni cinquanta, libertaria, negli anni sessanta e settanta, fino a quella iperbolica attuale, in cui l'autenticità è generalizzata e normalizzata, simbolo e strumento di una rivoluzione che l'ha vista trasformarsi in un feticcio. Spogliata dell'aura filosofica e intellettuale di cui pensatori come Rousseau, Kierkegaard, Nietzsche e Sartre l'avevano ammantata, addirittura rinnegata dalla cancel culture e dall'ondata woke, nella vita quotidiana, avida di identità e realizzazione personale, non incontra più ostacoli. Ma per conservare la sua legittimità deve forse smettere di presentarsi come un modello esclusivo, da applicare a priori, perché «ciò che è autentico non è necessariamente buono, e l'inautentico non è necessariamente da scartare».
La bellezza e le strategie per accentuarla sono state perseguite in tutte le epoche, ma le civiltà del passato hanno cercato di imbrigliarle, arginando qualunque spinta liberatoria. L'ipermodernità contemporanea ha scardinato questo dispositivo e oggi la seduzione si sprigiona in ogni direzione. La parola d'ordine non è più costringere ma "piacere e colpire". E questa ingiunzione è una delle leggi che operano ovunque: nell'economia, nella pubblicità, nella politica. L'economia consumistica tempesta di offerte attraenti la nostra quotidianità intercettando i desideri; nella sfera politica, la seduzione si dispiega tramite l'immagine del candidato, appannando il programma politico, la vita vera. L'autore chiarisce quali sono i punti di forza della società della seduzione, e perché sarebbe catastrofico tornare ai modelli opprimenti del passato. Sottolinea anche le derive di questo parco giochi voluttuoso e spesso vacuo in cui ci troviamo a vivere, e delinea i modi per nobilitarlo senza sacrificarlo.
La tesi di questo saggio è sorprendente e provocatoria: la nostra epoca è quella del compimento di una estetizzazione del mondo; è addirittura possibile definire il sistema globale nel quale viviamo un «capitalismo artistico», quasi che alla fine si fosse realizzato l'antico ideale: «bisogna ammetterlo, il capitalismo ha creato un uomo estetico», vale a dire «un iperconsumatore che ha uno sguardo estetico e non utilitaristico sul mondo». Le avanguardie, la sperimentazione, le attività artistiche, diversamente che nel passato, sono oggi integrate nel sistema produttivo ed è il sistema produttivo stesso a moltiplicare gli stili. E così non perché il Bello sia offerto al «pubblico» quale semplice orpello pubblicitario, o a mo' di ornamento volto solamente a camuffare la pochezza intrinseca del prodotto. Ben oltre questo, il Bello è divenuto un vero e proprio fattore produttivo su cui impegnare capitali: «nessuna sfera è risparmiata dall'investimento estetico». Si è arrivati al presente stadio di estetizzazione del mondo attraversando un itinerario storico, che gli autori ricostruiscono in quattro tappe dall'antichità all'Ottocento, fino ad oggi. A ciascuna di esse è dedicata una analisi che individua per ogni epoca il tipico rapporto della società data con il Bello, con i fini estetici e la produzione estetica. Ma Gilles Lipovetsky e Jean Serroy, ben riconoscendo i contributi del capitalismo alla estetizzazione del mondo, non ne fanno un'esaltazione. Il loro saggio unisce economia, sociologia, antropologia dentro l'orizzonte di una tagliente critica sociale. Ed essa dimostra come questo capitalismo artistico possa essere una macchina che distrugge la sostanza umana della società, quanto da esso «la buona vita sia minacciata».
Bioética, caridad mediática, acciones humanitarias, salvaguarda del medio ambiente, moralización de los negocios, de la política y de los media, debates sobre el aborto y el acoso sexual, cruzadas contra la droga y el tabaco: la revitalización de los «valores» y el espíritu de responsabilidad se esgrimen por doquier como el imperativo prioritario de la época. Hasta hace poco, nuestras sociedades vibraban con la idea de liberación individual, hoy proclaman que la única utopía posible es la moral. Las democracias repudian la retórica del deber austero y consagran los derechos individuales a la autonomía, al deseo, a la felicidad. Frente a las amenazas del neomoralismo, así como del cinismo de corto alcance, conviene rehabilitar la inteligencia como ética que se muestra menos preocupada por las intenciones puras que por los resultados benéficos para el hombre, que no exige el heroísmo del desinterés, sino el espíritu de responsabilidad y la búsqueda de compromisos razonables.
Sotteso dalla nuova religione del miglioramento incessante delle condizioni di vita, il "benessere" è ormai passione di massa, scopo supremo delle nostre società aperte e democratiche, ideale prepotente e pervasivo. È nato un nuovo tipo antropologico, Homo consumericus, il "turbo-consumatore" mobile, flessibile, sfrenato: altro che il vecchio "Prometeo scatenato" che voleva trasformare il mondo con la tecnica! Adesso il progresso tecnologico deve essere al servizio dell'"iperconsumatore", e quest'ultimo non è affatto una pedina delle multinazionali o delle grandi marche, ma si rivela un giudice sofisticato delle merci gettate sul mercato, un filtro ineliminabile del gioco della domanda e dell'offerta. Eppure, mentre questo inedito "soggetto" realizza il suo trionfo, paradossalmente quella felicità che sembra così a portata di mano si rivela un "piacere ferito". Mai come oggi il senso della potenza si accompagna alla consapevolezza di una irrimediabile solitudine.