"La natura delle cose" è un poema fondamentale della storia del pensiero, in cui vengono assunti a fondamento i princìpi portanti della filosofia epicurea. Lo stesso Cicerone fu soggiogato dalla grandezza dell'opera e, pur non approvandone filosoficamente il contenuto, contribuì in modo decisivo alla sua pubblicazione. L'opera è la celebrazione della dottrina epicurea come filosofia liberatrice dell'uomo e valido mezzo a confortare un'umanità quanto mai turbata e incerta. Cardine del suo approccio era la fisica atomistica democritea: il mondo in cui viviamo non è che il risultato dell'unione casuale di una parte degli infiniti atomi, da sempre in movimento nello spazio senza fine. Al rigido sistema democriteo, Epicuro in realtà aggiunse una variante rivoluzionaria, il clinamen, ossia la spontanea deviazione degli atomi dalla loro traiettoria rettilinea, una sorta di "libero arbitrio" ante litteram. Anche il mondo degli dèi esiste. Ne abbiamo immagine, ma vivendo eternamente beati negli spazi tra mondo e mondo, essi non hanno tempo né voglia di occuparsi di noi. La conclusione è che, in questo modo, sia la fisica sia la teologia ci liberano dagli ostacoli più gravi che si oppongono alla nostra felicità: il timore della morte e della collera divina.
Composto intorno alla metà del I secolo a.C, il poema "De Rerum Natura" espone gli ideali dell'epicureismo in versi di rara potenza e bellezza. Rifacendosi infatti alla tradizione epica e arcaizzante di Ennio, ma senza dimenticare la lezione di nitore espositivo della poesia didascalica alessandrina, Lucrezio compone un grandioso poema nel quale l'elemento letterario e quello dottrinale sono inscindibili. Come gli antichi poeti-filosofi Empedocle e Parmenide, e animato dallo stesso entusiasmo missionario, Lucrezio si fa scienziato, profeta, maestro di verità. Scopo della sua opera è privare l'uomo delle illusioni sulla religione, sull'anima, sul mondo, per porlo di fronte alla danza eterna degli atomi, allo spettacolo sublime e terribile, ma anche liberatorio, della verità ultima della Natura. Introduzione di Emanuele Narducci.
Scomparso per secoli dalle biblioteche di letterati e sapienti ostili alle tesi epicuree, e riscoperto solo in pieno Rinascimento grazie a un umanista che ne rinvenne una copia in un monastero tedesco, il "De rerum natura", poema filosofico in esametri composto da Lucrezio nel I secolo d.C, è un unicum nella storia della letteratura e del pensiero antico. Si compone di tre coppie di libri che hanno per argomento la fisica - il molteplice aggregarsi degli atomi, in un ciclo infinito di nascita e di distruzione - la natura e il cosmo. Ispirato alla tradizione greca di poemi didascalici oggi andati perduti, il "De rerum natura" è al contempo un'opera letteraria ricca d'immagini evocative, invenzioni linguistiche, picchi lirici e passaggi avvincenti quali la celebre fenomenologia dell'amore e la toccante descrizione della peste di Atene. Il capolavoro di Lucrezio è anche un viaggio iniziatico attraverso gli insegnamenti del maestro Epicuro. Solo conoscendo i principi che regolano la natura e l'uomo, infatti, il saggio potrà raggiungere l'unico traguardo davvero ambito: la prospettiva di prezioso distacco da cui contemplare le cose, libero dai travagli di ogni giorno, con la gioia e il sollievo dell'uomo salvo sulla riva che fissa lo sguardo sul mare in tempesta.
La natura di Lucrezio svolge, con vivido afflato, il pensiero in visione: spaziando tra l'infinito e l'infinitamente piccolo, canta la filosofia di Epicuro come verità liberatrice. La liberazione, da desideri, immaginazioni, timori (soprattutto degli dèi e della morte), culmina nella felicità. Per raggiungere questo fine, mezzo primario è la conoscenza della natura. Essa è il tutto infinito e consta solo di atomi e di vuoto; gli atomi si muovono incessantemente per due soli generi di movimento: costruttivo e distruttivo. Nel poema di Lucrezio la natura, non ha una finalità antropocentrica e la condizione umana è sentita come drammatica, non tragica, perché aperta a esiti diversi.