Il tempo della festa, che si ripropone periodicamente in forme identiche, accoglie e placa la nostalgia per il "paradiso perduto" delle origini e prospetta - nella durata di un intervallo - una via di fuga dalla realtà profana oppure, al contrario, una modalità per valorizzare e accettare la condizione umana nella storia. Il tempo festivo nega il tempo normale sottoponendo il lavoro a interdizione, ma contestualmente pone le premesse per riaffermarlo e consentirgli di conferire senso al resto dei giorni. Il pilastro della costruzione culturale del tempo è la festa di capodanno, che nel Medioevo e nel Rinascimento il calendario fiorentino fissava il 25 marzo, Annunciazione della Vergine. La lettura degli affreschi eseguiti dal Beato Angelico proprio nel convento fiorentino di San Marco consente una riflessione sul momento in cui l'eternità entra nella storia e il nuovo ordine del mondo sostituisce l'antico. Nel paradosso dell'assenza concreta trasfigurata in presenza mistica risiede l'atto di fondazione del tempo in cui si trova tuttora immersa l'umanità che si riconosce nei valori cristiani.
Il mito dell'Ebreo errante ha dietro di sé una lunga storia, che prende avvio da un passo del Vangelo di Giovanni e arriva fino all'epoca attuale. Dal punto di vista cristiano questo mito è la legittimazione del destino del popolo ebraico, condannato ad un perpetuo vagare, dopo la distruzione di Gerusalemme. Ma c'è un diverso punto di vista, quello della cultura ebraica che si appropria del mito e ne modifica radicalmente il senso: in questo caso la vicenda adombra sia la realtà della Diaspora, sia la capacità di preservare l'identità culturale originaria, custodita simbolicamente nel sacco che l'Ebreo errante (non convertito) porta sempre con sé. L'autore illustra le trasformazioni storiche del mito, guidando il lettore nella foresta di simboli che la vicenda racchiude; a questo scopo è stato approntato un itinerario per immagini.