Chi conquista la presidenza degli USA è sempre il migliore dei candidati? Questa domanda ha sempre angosciato studiosi, commentatori e semplici cittadini, e neppure i dibattiti o le primarie hanno contribuito a far chiarezza. La più grande democrazia del mondo sembra soffrire il diluvio di immagini, parole e dollari che si riversa sulla campagna elettorale. Ma la corsa per la Casa Bianca è pur sempre il più importante spettacolo prodotto dalla politica americana. Non a caso, accanto alle classiche analisi di Tocqueville & Co., è oggi il cinema una delle chiavi privilegiate per interpretare cosa succede sul palcoscenico delle elezioni americane. Percorrendo l'intera produzione cinematografica di Hollywood che abbia a tema la competizione elettorale, questo libro ci racconta in maniera brillante e puntuale come lo show business abbia descritto, spiegato e finanche influenzato il meccanismo che dovrebbe portare al potere "The Best Man".
Nell'attuale trend globalizzante che eleva l'ambiente urbano a fenomeno catalizzatore delle nuove prospettive economiche e sociali, la città si appresta a vivere la stagione della seconda rivoluzione urbana, diventando l'habitat privilegiato della stragrande maggioranza degli esseri umani e ponendosi quasi come naturale antagonista dello Stato nazionale oggi in grave crisi. Il presente studio cerca di spiegare perché da oltre un secolo si sia affermata una narrativa distopica, costretta a sostituire in modo tanto drastico quanto radicale e risolutivo, l'utopia urbana che pretendeva dapprima di interpretare, e successivamente realizzare, il sogno dell'élite politica e culturale della modernità occidentale. L'obiettivo è tentare di comprendere se l'umanesimo ateo e autoreferenziale di cui sembra volersi nutrire il contemporaneo rinascimento urbano sia capace di eguagliare i fasti, i progressi e i rinnovamenti di quello radicato nel rapporto critico, conflittuale, ma sempre fecondo, dell'umanesimo religioso con il Medioevo cristiano, o non rischi piuttosto di rappresentarne una parodia della quale la distopia sembra assumersi il triste compito anticipatorio, finendo con il sottomettere la cittadinanza alle esigenze "meccaniche" della metropoli.