Biodiversità e beni comuni si ispira a
un evento di grande rilevanza storica: il
5 giugno 1992, a Rio de Janeiro, in occasione
della Conferenza delle Nazioni
Unite su ambiente e sviluppo, venne firmata
la Convenzione sulla Biodiversità
(CBD). Dopo Rio, la CBD si è affermata
come uno degli accordi multilaterali più
importanti per la messa a punto di politiche
di sviluppo sostenibile e conservazione
della natura; al contempo, però, si
è progressivamente distinta come il trattato
globale più controverso in seno ad
alcune importanti agenzie sovranazionali
a causa dei vincoli che essa impone
allo sfruttamento e al libero commercio
di beni biologici. La CBD, infatti, enfatizzando
il carattere di “bene comune”
(commons) insito nel patrimonio biologico
del pianeta, nega che esso possa
essere considerato una mera commodity, una merce da cui
trarre profitto.
Nel volume i beni comuni vengono intesi come tutti i fattori
materiali e immateriali che incidono sulle condizioni di
vita dell’umanità. Questa nozione implica evidentemente
anche il riferimento alle modalità del loro sfruttamento da
parte del sistema sociale. Emerge allora
che la gestione della biodiversità naturale
e agricola – così com’è stata concepita
fino a oggi – non può più essere
guidata dai paradigmi economici del
mondo occidentale. La tutela della biodiversità
pone sfide che richiedono
strumenti e politiche in grado di riconoscere
e valorizzare tutti i valori che
in essa sono stati individuati dalla
Convenzione di Rio. Ciò introduce un
ulteriore elemento a cui il volume presta
particolare attenzione. La variabilità
antropologica e linguistica che si è
sviluppata nel corso della storia umana
deve misurarsi con nuove forme di
omologazione economica delle culture,
che agiscono distruttivamente in
sinergia con altri fattori di erosione del
patrimonio naturale e agricolo della
Terra. Ma la diffusa tendenza dei paesi industrializzati a
ignorare l’importanza delle culture “altre” rappresenta una
delle conseguenze più azzardate di una civiltà che persegue
un unico modello economico; l’idea di sviluppo che ne
discende, infatti, da un lato distrugge le risorse biologiche e
dall’alto genera fame e povertà.
Carlo Modonesi è laureato in biologia e specializzato in igiene ambientale. All’Università di Milano ha svolto attività di ricerca
nei settori della biologia del comportamento e della socioecologia animale. Dal 1998 lavora al Museo di Storia Naturale
dell’Università di Parma, dove si occupa di evoluzione biologica ed evoluzione culturale, nonché della loro relazione. All’Università di
Parma è stato docente di biologia comparata dei cordati, mentre attualmente, nello stesso Ateneo, insegna comunicazione naturalistica
per il corso di laurea specialistica in conservazione della natura. È stato direttore scientifico della Fondazione Diritti Genetici.
Gianni Tamino è laureato in scienze naturali. Ha compiuto ricerche sugli effetti degli inquinanti ambientali e sugli organismi
geneticamente modificati. Docente di biologia generale all’Università di Padova dal 1974, attualmente è titolare degli insegnamenti
di diritto ambientale e di bioetica nell’ambito dei corsi universitari e post-universitari dello stesso Ateneo. Ha fatto parte
del Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ed è stato membro
del Parlamento italiano e successivamente del Parlamento europeo.