La democrazia liberale, il più grande motore di crescita della storia, lotta oggi per superare ostacoli economici senza precedenti: dall'invecchiamento della popolazione alla scarsità di risorse a un indebitamento insostenibile. Vincolate da un pensiero a breve termine e da dogmi ideologici, le odierne democrazie rischiano di rimanere vittime del nazionalismo e del protezionismo che ci consegneranno irrimediabilmente a un tenore di vita in declino. In questo saggio, Dambisa Moyo ci mostra perché la crescita economica è essenziale per la stabilità globale e per quale ragione, oggi, le democrazie liberali non sono più in grado di generarla. Non dobbiamo tuttavia rassegnarci a imboccare una direzione che si allontani dalla democrazia. Piuttosto, dobbiamo riformare radicalmente la democrazia stessa. Solo grazie a una sostanziale riconversione del capitalismo democratico l'economia potrà riprendere a crescere e la democrazia riuscirà a sopravvivere al ventunesimo secolo.
Prostrato dalla crisi finanziaria, minato da politiche sconsiderate, afflitto da una popolazione sempre più anziana e impreparata, gravato da un debito pubblico esorbitante, il vecchio Occidente vacilla sull'orlo di un abisso. L'altra metà del mondo, invece, guidata da un manipolo di Paesi intraprendenti, ricchi di forza lavoro e di liquidità, sta spezzando la sua antica egemonia e punta a strappargli il primato economico, e non solo. La Cina, in apparenza inarrestabile, infrange ogni record di produttività, spianando la strada alla Russia, all'India, al Brasile, alla Corea del Sud. È troppo tardi per reagire? Dambisa Moyo, economista acuta e controcorrente, ci spiega in questo libro le ragioni del nostro declino annunciato: dalla crisi dei mutui alla lotta globale per le risorse, dalla "bomba a orologeria" dei sistemi pensionistici alla grande sfida dello sviluppo tecnologico, dall'irresponsabilità delle banche alla compiacenza dei governi. Ci attendono tempi difficili e scelte sofferte - sostiene Moyo - ma forse non tutto è perduto. Nonostante i clamorosi errori dell'America e dell'Europa, è ancora possibile rimboccarsi le maniche e scommettere sull'intraprendenza, la determinazione, l'inventiva e la capacità di reagire che hanno sempre consentito all'Occidente di uscire vincitore dalle sfide più dure.
Il 13 luglio 1985 va in scena il concerto "Live Aid", con un miliardo e mezzo di spettatori in diretta: l'apice glamour del programma di aiuti dei Paesi occidentali benestanti alle disastrate economie dell'Africa subsahariana, oltre mille miliardi di dollari elargiti a partire dagli anni Cinquanta. Venticinque anni dopo, la situazione è ancora rovinosa: cosa impedisce al continente di affrancarsi da una condizione di povertà cronica? Secondo l'economista africana Dambisa Moyo, la colpa è proprio degli aiuti, un'elemosina che, nella migliore delle ipotesi, costringe l'Africa a una perenne adolescenza economica, rendendola dipendente come da una droga. E nella peggiore, contribuisce a diffondere le pestilenze della corruzione e del peculato, grazie a massicce iniezioni di credito nelle vene di Paesi privi di una governance solida e trasparente, e di un ceto medio capace di potersi reinventare in chiave imprenditoriale. L'alternativa è chiara: seguire la Cina, che negli ultimi anni ha sviluppato una partnership efficiente con molti Paesi della zona subsahariana. Definita l'anti-Bono per lo spietato pragmatismo delle sue posizioni, in questo libro Dambisa Moyo pone l'Occidente intero di fronte ai pregiudizi intrisi di sensi di colpa che sono alla base delle sue "buone azioni", e lo invita a liberarsene. Allo stesso tempo invita l'Africa a liberarsi dell'Occidente, e del paradosso dei suoi cosiddetti "aiuti" che costituiscono il virus di una malattia curabile: la povertà.
La democrazia non è il prerequisito della crescita
economica. Al contrario, è la crescita a essere
un prerequisito della democrazia.
E l’unica cosa di cui non ha bisogno sono gli aiuti.
L’analisi-choc del perché l’iniezione
di aiuti economici nelle casse dei paesi
africani è un’iniezione letale.
Il 13 luglio 1985 va in scena il concerto “Live Aid”, con un miliardo e mezzo di spettatori in diretta: l’apice glamour del programma di aiuti dei Paesi occidentali benestanti alle disastrate economie dell’Africa subsahariana, oltre mille miliardi di dollari elargiti a partire dagli anni Cinquanta. Venticinque anni dopo, la situazione è ancora rovinosa: cosa impedisce al continente di affrancarsi da una condizione di povertà cronica? Secondo l’economista africana Dambisa Moyo, la colpa è proprio degli aiuti, un’elemosina che, nella migliore delle ipotesi, costringe l’Africa a una perenne adolescenza economica, rendendola dipendente come da una droga. E nella peggiore, contribuisce a diffondere le pestilenze della corruzione e del peculato, grazie a massicce iniezioni di credito nelle vene di Paesi privi di una governance solida e trasparente, e di un ceto medio capace di potersi reinventare in chiave imprenditoriale. L’alternativa è chiara: seguire la Cina, che negli ultimi anni ha sviluppato una partnership sofisticata ed efficiente con molti Paesi della zona subsahariana. Il colosso cinese, che non deve fare i conti con un passato criminale di colonialismo e schiavismo, è infatti in grado di riconoscere l’Africa per la sua vera natura: una terra enorme ricca di materie prime e con immense opportunità di investimento. Definita l’anti-Bono per lo spietato pragmatismo delle sue posizioni, in questo libro Dambisa Moyo pone l’Occidente intero di fronte ai pregiudizi intrisi di sensi di colpa che sono alla base delle sue “buone azioni”, e lo invita a liberarsene. Allo stesso tempo invita l’Africa a liberarsi dell’Occidente, e del paradosso dei suoi cosiddetti “aiuti” che pretendono di essere il rimedio mentre costituiscono il virus stesso di una malattia curabile: la povertà.