I cinque poemi che compongono il Libro delle Lamentazioni formano un'opera letteraria unitaria e, di conseguenza, i singoli poemi devono essere letti seguendo il filo che li unisce. Anche se è possibile che all'origine dei poemi non vi sia un solo autore e soprattutto che l'autore del capitolo 3 possa essere diverso dall'autore degli altri capitoli, l'opera, come ora si trova nel Canone biblico ebraico, presenta un marcato carattere unitario determinato dall'uso della medesima forma metrica (la qinah, "lamentazione"), dal linguaggio e dalla riflessione sul tema tragico della caduta di Gerusalemme. Lo stesso autore del terzo poema, che è in stretto contatto con la scuola di Isaia, potrebbe essere il curatore della redazione finale del libro. È comunque significativo che le questioni lasciate aperte nel Libro delle Lamentazioni abbiano trovato risposta nel Libro di Isaia, in particolare nei capitoli 40-54. Il Libro di Isaia, nella seconda parte, fornisce una risposta all'aspirazione alla sopravvivenza così evidente nel Libro delle Lamentazioni anche avvalendosi delle stesse formulazioni verbali. Molti rabbini e alcuni esegeti moderni hanno notato una somiglianza di linguaggio e di temi tra il Libro delle Lamentazioni e la parte del Libro di Isaia comunemente attribuita a un anonimo profeta dell'esilio, chiamato Deutero-Isaia, in particolare nell'invito «Consolate, consolate il popolo mio, dice il tuo Dio» (Is 40,1), ma quasi mai e solo in modo indiretto hanno sostenuto che ci sia un vero rapporto tra i due testi.
Solo sullo sfondo di una plurisecolare storia di disprezzo, ostilità e odio da parte dei cristiani verso gli ebrei è possibile cogliere la sorprendente novità del concilio Vaticano II, che con il documento Nostra aetate (28 ottobre 1965) ha introdotto l'espressione "fraterno dialogo". Per questo il volume orienta lo sguardo in due direzioni. Da un lato, verso i secoli in cui la Chiesa cattolica, nella preghiera del venerdì santo, parlava di "perfidi Judaei" e di "perfidia judaica"; dall'altro, verso il futuro a partire dalla svolta epocale costituita dal documento Nostra aetate e dal cammino che quel testo ha irreversibilmente aperto, tra slanci, lentezze e paure. L'intento è approfondire le ragioni che fondano la necessità del dialogo e abbozzare le forme che esso potrebbe assumere a partire da scelte vissute, condivise e soprattutto sostenute dal coraggio di accettare il confronto come una sfida ineludibile e urgente, come una testimonianza dello shalôm in un mondo spesso dominato da pregiudizi, chiusure e violenze. Prefazione di Rav Giuseppe Laras. Postfazione di Pierbattista Pizzaballa.