Ogni popolo ha virtù e difetti, e il giudizio cambia secondo la visuale di chi lo emette. Di noi italiani si può dire che nel complesso siamo buoni d'animo, gentili, spiritosi, ma anche disordinati e superficiali. Ma chi siamo, oggi, noi italiani? E come siamo cambiati quasi cinquant'anni dopo il libro di Luigi Barzini - "Gli italiani", appunto - al quale questo idealmente si richiama? A tali domande, che ne sottendono molte altre, Ottone risponde anche attingendo a una lunga esperienza di vita, di cui affiorano ricordi professionali, incontri e amicizie, dalla giovinezza vissuta durante il fascismo - del quale da un giudizio equanime, quasi provocatorio - fino a oggi. Con la sua scrittura garbata ma incisiva e, talora, sferzante nel giudizio, l'autore traccia un profilo per quanto possibile oggettivo, ma non per questo meno partecipe, del pianeta Italia. Dove non mancano le persone di valore, ma non c'è a livello nazionale - non c'è mai stata - una classe dirigente paragonabile a quella dei grandi paesi occidentali. Il livello, da noi, è quello che è. Esistono alcune enclaves di buona tradizione, di prestigio, ma un paese, per crescere, deve imparare la serietà, la prudenza, il rigore etico. Questo non è disfattismo o autodenigrazione, ma sano realismo, utile a evitare errori e illusioni. Tenerne conto può essere un buon punto di partenza per il futuro.
Si può pensare alla vecchiaia come a una stagione per nulla malinconica e rinunciataria, ma piuttosto piena di soddisfazioni e di felicità? Secondo Piero Ottone si può, anzi in certo modo si deve, è giusto e necessario. Perché la vecchiaia è una conquista, la fine e il compimento di una corsa, il raggiungimento di uno stato d'animo di quiete e benessere a cui tutti, forse già da giovani, aspiriamo: più nessuna paura del fallimento, più nessuna ansia da prestazione, finalmente, ma solo l'appagamento sereno e l'insostituibile consolazione della memoria. Per Ottone memoria vuol dire innanzitutto ricordi, momenti di una carriera giornalistica che l'ha visto dapprima inviato all'estero e poi direttore del più prestigioso quotidiano italiano, alle prese con proprietari, redazioni e mondo politico. Ma non di solo lavoro è fatta l'esistenza: ecco quindi riaffiorare anche gli affetti e le amicizie, la giovinezza genovese durante il fascismo e la guerra, le numerose avventure in barca a vela tra il Mediterraneo e l'Atlantico, gli incontri e le letture che hanno cambiato la vita, l'educazione dei figli e adesso quella dei nipoti. Piero Ottone racconta di sé, delle sue passioni, del suo mondo e traccia un bilancio del proprio vissuto: tesse uno straordinario elogio della vecchiaia, non come età in cui si attende la fine, ma piuttosto come placida stagione dell'anima, in cui i fili dell'esistenza convergono, restituendo un senso di pace e appagamento.
Il libro è una lunga lettera che Piero Ottone scrive ai suoi tre piccoli nipoti. Una serie di riflessioni dell'autore sul grande gioco che è la vita: "Ora vi scrivo una lettera. Non certo per risparmiarvi le ambasce che vi attendono, non certo per farvi evitare gli errori: altro ci vuole. Forse per aiutarvi a capire, qualche volta, se ci riesco. Ma soprattutto, per rimanere un po' più a lungo fra voi. E per farvi sentire, quando leggerete e capirete, che vi sono stato molto vicino".