In questo breve scritto confluisce tutto il lavorio della ricerca umana e religiosa di Panikkar, forse il lavorio integrale di cuore e mente dell'umanità stessa. La proposta di un Concilio universale permanente e il ruolo che la Chiesa cattolica può/deve svolgere per la sua attuazione è di grande attualità. Una chiesa per il terzo millennio non può più giocare con le carte del passato, rappresentare una dimora comoda per chi accetta irresponsabilmente lo status-quo. «I grandi problemi dell'umanità (fame, guerra, ingiustizia, ordine economico, scienza, tecnologia) sono in fondo questioni umane ultime di vita o morte e quindi religiose. Questo è un compito eminentemente della chiesa, intesa non tanto come chiesa romana né cristiana, quanto come chiesa invisibile sparsa per tutta la terra». Ci dovrebbe però essere qualcuno che convoca tale concilio universale, anche se poi si dovrebbe eclissarsi e lasciarne la dinamica nelle mani dello Spirito. L'incontro «Insieme per domandare la pace» promosso da papa Giovanni Paolo II ad Assisi (27 ottobre 1986), la dichiarazione congiunta sulla fratellanza di papa Francesco e del grande imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, ad Abu Dhabi (4 febbraio 2019) e il forte e intenso discorso ancora di papa Francesco all'incontro interreligioso di Ur dei Caldei (6 marzo 2021) sono segni profetici di quanto l'oggi dell'umanità chiede alle religioni: «che la famiglia umana diventi ospitale e accogliente verso tutti i suoi figli; che, guardando il medesimo cielo, cammini in pace sulla stessa terra».
«La mistica non è un privilegio di pochi prescelti, ma la caratteristica umana per eccellenza. L'uomo è essenzialmente un mistico. Fino a tempi molto recenti (e alcuni la pensano così anche oggigiorno) si è considerata la mistica un fenomeno particolare più o meno straordinario, qualcosa al di fuori della conoscenza 'normale' dell'essere umano, un 'qualcosa' di speciale - patologico, paranormale o sovrannaturale. Questo studio aspira a far 'reintegrare' la 'mistica' nell'essere stesso dell'uomo: nell'uomo spirito mistico tanto quanto animale razionale ed essere corporale. In altre parole: la mistica non è una specializzazione, ma una dimensione antropologica, un qualcosa che appartiene all'essere umano in quanto tale. Ogni uomo è mistico - anche se solo potenzialmente. La mistica autentica quindi non disumanizza. Ci fa vedere che la nostra umanità è qualcosa di più (e non di meno) della pura razionalità. La composizione del volume è semplice: una prima parte porta come lemma la Nuova innocenza, in quanto la mistica autentica non è una riflessione sull'Essere, ma un atteggiamento libero e spontaneo che sorge dalla pienezza della persona. Una seconda parte tratta della meditazione, su cui poco si può dire perché essa è silenzio; seguono tre esempi di santi, le cui differenze ci mostrano che non esiste un solo concetto di santità. La terza parte è formata da uno studio, sistematico e filosofico, sull'esperienza mistica. In questa parte cerco di confutare l'idea assai diffusa sulla mistica intesa come equivalente a fenomeni straordinari riservati a una piccola élite di mortali. Tutti siamo potenzialmente aperti all'esperienza mistica. L'idea che tutti siamo 'figli di Dio', presente in tante religioni, è stata formulata dal cristianesimo e costantemente ripetuta, ma poco meditata. Segue come appendice una riflessione filosofica sull'esperienza suprema da prospettive diverse e una preghiera che viene dal profondo del mio essere».
«Il volume XII, ultimo nello schema della struttura dell'"Opera Omnia", comprende articoli e libri sul tema della scienza, apparsi nel primo periodo della mia vita. Sebbene il contenuto e lo stile possano apparire superati, ho comunque scelto di includerli come testimonianza di quel periodo e dei miei interessi di allora. Il prologo, soprattutto, "Visione di sintesi dell'universo", è molto datato nell'esposizione, ma vi compaiono certe intuizioni che considero ancora valide. L'argomento del volume parte dalla concezione del tempo legata alla visione scientifica della realtà. Questo tempo non è un involucro esterno agli esseri, ma una dimensione costitutiva e specifica di ciascun essere, che è in quanto perdura, e perdura proprio in quanto è questo essere specifico e non un altro. Il tempo della civiltà tecnologica ha provocato all'interno dell'uomo un conflitto profondo, alterandone il ritmo di vita. L'uomo deve rifiutare la tecnologia o, al contrario, rafforzarla integrandosi nel progresso? È un conflitto ineluttabile. Conviene qui notare che la tecnologia presenta un carattere ontonomico e, quindi, una relazione costitutiva sia con il mondo che con l'uomo. In effetti, la relazione tra l'uomo e la tecnologia è tanto intima e profonda quanto quella tra la tecnologia e la natura. L'uomo genera la tecnologia partendo dalla natura. La tecnologia ha inizio come frutto dell'interesse umano per la terra, per la materia». Il volume consiste di due sezioni, anche se il suo contenuto si intreccia costantemente. La prima concerne il tempo e lo spazio, argomento che sta alla base di una visione non solo filosofica della realtà, ma anche scientifica. La seconda concerne la concezione più occidentale della scienza. Essa inizia con un articolo dedicato a Max Planck, cui fa seguito parte della tesi di dottorato in Scienze dell'autore, "Ontonomia della scienza" (1961) e si conclude con un salto di quasi mezzo secolo con uno scritto di riflessione sulla scienza moderna che sfocia nella tecnologia, "La porta stretta della conoscenza". Due articoli sottolineano la necessità di emanciparsi dalla scienza e dalla tecnologia, non come rifiuto del loro valore, ma come superamento dei loro condizionamenti.
Lo spazio e il tempo sono oggi scossi dalla scienza e dalla tecnologia e l'incontro fra i popoli e le loro tradizioni si fa sempre più problematico creando scontri di civiltà e problemi di convivenza. Si è tanto sofferto per i fanatismi politici, religiosi e culturali, che siamo legittimamente assetati di una comprensione universale. Un tipico esempio di questa mentalità è la sindrome del villaggio globale. Per nobile che sia l'intenzione, rimane pur sempre il risultato della mentalità colonialista. Eppure c'è sete di vera comprensione: «Non possiamo vivere in un mondo a compartimenti. L'altro diviene un problema proprio perché invade la mia vita ed è irriducibile al mio modo di vedere. Se un estremo è pensare che noi siamo nel giusto e gli altri in errore, l'altro estremo è ritenere che siamo tutti adatti per un tipo di villaggio globale». Fra questi due estremi, emergono sempre più le parole pluralismo e interculturalità a rappresentare un terzo atteggiamento, fondamento di una comprensione universale. Interculturalità non significa relativismo culturale (una cultura vale l'altra), né frammentazione della natura umana. Il rispetto della dignità umana esige il rispetto culturale, inscindibile da una mutua conoscenza - senza la quale cadremmo nella tentazione di imporre la nostra cultura a modello della convivenza umana. La proliferazione degli studi sulla pace e delle associazioni per promuoverla apre alla speranza la nostra epoca e il dialogo tra culture, civiltà e religioni è un segno positivo del nostro tempo. Attraverso questo libro, l'autore insiste sulla necessità di superare le dicotomie imposte dal genio classificatore dell'Occidente per chiarire ogni tipo di problematica. Superare non significa annullare le differenze, ma trascendere il pensiero analitico, non con una mera sintesi, ma con un pensiero olistico, che tenga conto dell'indispensabile pluralità delle culture.
Questo primo tomo del vol. IX è articolato in tre sezioni, che trattano del mito, del simbolo e del culto (il secondo tomo sarà dedicato alla fede e alla sua interpretazione per mezzo delle parole). Col termine mito oggi spesso s'intende qualcosa di irreale o semplicemente una leggenda più o meno fantastica. Con la parola mythos, invece, io intendo quello che tradizionalmente significava, vale a dire un modo diverso che gli uomini hanno di esprimere una convinzione, o piuttosto una verità che non è necessariamente «chiara e distinta» alla ragione e che, ciò nonostante, si accetta come ovvia e quindi non ha bisogno di essere dimostrata. La prima sezione comincia con una descrizione della relazione tra mythos e tolleranza e del rapporto tra lo stesso mito e il problema della morale. Seguono tre studi di tipo generale sul senso del mythos e la sua relazione con la parola e quindi anche con la teologia, come sarà illustrato dai quattro mythoi indiani (i miti di Prajapati, Vunahsépa, Yama e il mito dell'incesto), che riguardano la creazione, la colpa, la redenzione, l'uomo e la condizione umana, il recupero dell'innocenza e la sessualità. Il messaggio di questi mythoi non può essere trasmesso con una riflessione esclusivamente razionale, ma con metafore e simboli, avvalendosi della parola come tramite del logos. L'uomo non è dunque riducibile all'individuo e nemmeno a un semplice concetto e il mezzo più potente che ha per avvicinarsi alla realtà e ai suoi simili è il simbolo. Nella seconda sezione, dopo alcune riflessioni generali su che cosa sia il simbolo, portiamo ad esempio una parola fondamentale in Oriente, spesso fraintesa: karman, parola che, ridotta a concetto, risulta vulnerabile alla ragione. Se il simbolo del karman è prevalente nella metà delle culture, la metafora della goccia d'acqua, come simbolo della condizione di ogni esistenza, inclusa quella umana, è pressoché universale. La terza sezione è costituita da un testo, la cui scrittura risale al 1973, incentrato sul culto non in quanto cerimonia, ma in quanto espressione dell'homo religiosus, non come funzione, ma come attività che l'uomo compie in comunione con il cosmo per il sostentamento dell'universo. La secolarità, cioè l'interesse per ciò che è secolare, è stata troppo spesso considerata in molte tradizioni ostacolo alla vita spirituale. Il pro-fano (davanti al fanum, luogo sacro) è in opposizione al sacro, ma non al secolare, che può essere vissuto nella sua sacralità.
Questo volume è dedicato alla secolarità definita «sacra» perché rappresenta lo stile di vita cui siamo chiamati, superando la dicotomia tra il sacro e il profano. Non si tratta di fuggire dal mondo, ma di trasfigurarlo - che è qualcosa di più che redimerlo: è risuscitarlo. Bisogna «trovare» il sacro e «creare» la via secolare. La scoperta della secolarità sacra ci sembra essere il catalizzatore affinché la trasformazione non sia solo un cambio d'abito, una nuova moda, ma una mutazione storica. Il compito non è facile, ma è urgente e anche affascinante. Il libro tratta vari aspetti della realtà secolare, formando un tutto armonico. La prima sezione è dedicata alla filosofia della secolarità; ne sviluppa la descrizione, analizza la sacralità del secolare e riporta alcune considerazioni sulla sfida che la secolarità rappresenta per le religioni tradizionali. La seconda è dedicata alla politica come aspetto non trascurabile della vita: l'Uomo è soma, psyche, polis e kosmos. In quanto polis, la sua appartenenza a una comunità (politica) è fondamentale. Questa sezione comprende vari articoli collegati alla sociologia che abbraccia anche la formazione universitaria. La terza sezione, dedicata alla pace, comprende due libri: Concordia e Armonia, raccolta di alcuni articoli che illustrano come la pace non possa che essere il risultato di una secolarità vissuta nella sua sacralità, e Pace e disarmo culturale. La sezione termina infine con alcuni scritti sull'ecosofia che, come dice la parola, è la saggezza della Terra che siamo invitati ad ascoltare e con la quale fare pace. L'invito alla pace, traguardo per la vita armoniosa dei diversi popoli sulla Terra, è un obiettivo che può essere raggiunto individualmente superando l'ego e collettivamente accettando la pluralità delle culture e tradizioni, senza che nessuna di esse pretenda di prevaricare imponendo una sola economia, una sola politica, una sola religione... Non è forse la varietà il dono più bello che possiamo riscontrare anche nella natura, e a maggior ragione tra i popoli?
Per Pannikar la mancanza di una vita simbolica è la più grande lacuna delle nostre società. L'uomo è menomato, non ha ponti con il senso del vivere quotidiano e con l'infinito. L'uomo riconosce il simbolo anzitutto nella natura. Il Kailash è la montagna sacra degli induisti e di altre religioni; è l'eccellenza, il simbolo che unisce l'uomo al cielo e al destino. Panikkar stesso, in tarda età e a rischio della sua stessa vita, ha compiuto un pellegrinaggio al Kailash, nell'attuale Tibet. L'uomo riconosce i simboli nella natura (montagne, alberi, fuoco, acqua), e ne costruisce con le proprie mani, ha l'arte del simbolo per creare i ponti con il significato. L'uomo simbolico diviene uomo artista, da lui nascono immagini, costruzioni, miniature, architetture, musiche. Viva, che danzando crea l'universo simboleggiato da un cerchio da cui brillano dei fuochi, è una delle immagini più coinvolgenti dell'umanità. Dai grandi templi dell'India scavati nella roccia alle guglie della Sagrada Familia del catalano Gaudí, conterraneo di Panikkar, l'arte è fonte e veicolo di simboli. Per la prima volta vengono raccolti gli scritti di Raimon Panikkar sul simbolo insieme con le immagini che permettono di contemplare quanto espresso dalla sua parola.
Con il titolo Pensiero filosofico e teologico, Raimon Panikkar non intende avallare la dicotomia moderna fra filosofia e teologia , ma trascenderla. La teologia contemporanea non può sottrarsi alle congetture della critica moderna e, nel momento in cui diventa critica, deve essa stessa necessariamente avvicinarsi alla riflessione teologica. Per quanto la "fede" sia sovrarazionale, è l'intelletto umano che la accoglie, la manipola e l'interpreta. In altre parole, la critica della ragione teologica è ineludibile e imperativa. E questa critica non può che essere filosofica. La filosofia odierna, dopo i traumi delle due guerre mondiali, non può accontentarsi di operare solo analisi linguistiche e si trova ad affrontare problemi esistenziali che appartengono interamente all'ambito degli interessi teologici. I problemi ultimi dell'umanità, sia nell'ambito individuale che in quello politico ed ecologico, esigono soluzioni urgenti e non è corretto escludere risposte o problematiche perché non appartengono alla nostra sfera di specializzazione. Come Panikkar stesso afferma nell'Introduzione, "La filosofia è tanto la saggezza dell'amore quanto l'amore della saggezza. E un vero amore è non solo spontaneo, ma anche estatico, vale a dire non-riflessivo. Si è filosofi come si è innamorati: semplicemente capita". Il volume testimonia la ricerca amorosa dell'intera vita dell'autore, come mostrano i numerosi scritti qui riportati che coprono più di mezzo secolo.
Octavio Paz fu ambasciatore del Messico in India dal 1962 al 1968. Qui conobbe e strinse amicizia con Panikkar, come testimoniano lettere, riflessioni e appunti qui riportati. Nel libro si trova anche la trascrizione integrale di un incontro svoltosi alla televisione messicana nel 1982 sul tema «Oriente e Occidente», da cui scaturisce la forma diversa delle intelligenze dei due interlocutori, più erudita e intellettuale quella di Paz, più spirituale e propriamente religiosa quella di Panikkar. Tale aspetto riemerge nell'appassionata confessione dello scrittore contenuta in una lettera a Panikkar datata 1976, in cui descrive il proprio rapporto conflittuale con le due forme di temporalità che descrivono l'esperienza umana, quella lineare della storicità occidentale e quella circolare della spiritualità orientale, esemplificata dalla figura del sadhu. Il libro include infine un testo di Panikkar a commento del poema Vrindaban, che il poeta messicano aveva avuto modo di recitare all'amico catalano.
Questo libro non è un trattato sul buddhismo storico né sulle sue scuole, ma è centrato sul suo messaggio principale. La prima parte inizia con una riflessione sul concetto di vuoto e di pienezza nella tradizione buddhista confrontato con lo stesso concetto nelle tradizioni hindu e cristiana, continua poi con un'antica leggenda buddhista come contrapposizione alla civiltà tecnologica attuale e chiude con un capitolo più specifico sull'interpretazione del silenzio del Buddha.
La seconda parte riporta uno studio articolato, Il silenzio del Buddha, che risponde a quel modo odierno di vedere la via definito ateismo religioso che non è la semplice contrapposizione a tutte le forme più o meno surrettizie del teismo, né l'affermazione della non esistenza di Dio.