La parola di Qohelet è una mano tesa a coloro che si trovano in difficoltà di fronte alla continua riproposizione di concetti teologici e dogmatici in forme e linguaggi ormai estranei alla sensibilità moderna. Abituato a interrogarsi e a indagare, l'uomo dei nostri giorni spesso finisce nella situazione feconda e scomoda del dubbio. Può però trovare nel prezioso libriccino di Qohelet un'ottima e affidabile guida per la sua ricerca personale.
Nel puntuale confronto con i testi biblici e le letterature del Vicino Oriente Antico, si intende qui ricostruire il processo con cui Qohelet giunge a formulare il suo credo assai peculiare nel contesto della cosiddetta "letteratura sapienziale". È messa in evidenza la dialettica tra l'ordine che, secondo Qohelet, Dio dà inizialmente alla sua opera, e il disordine che il saggio percepisce "sotto il sole" e di cui ritiene in certa misura responsabile la divinità. L'antitesi è su due fronti: da una parte, l'uomo non riesce a decifrare l'opera di Dio nella sua globalità, dall'altra, Qohelet, privilegiando i dati esperienziali, non è in grado di riportare il disordine a quel piano superiore in cui i saggi tradizionali sapevano giustificarlo. L'aspetto supremo del disordine "sotto il sole" è costituito per lui dalla morte che, annullando ogni differenza tra i viventi, spedisce tutti a un identico destino. Invischiato nella contraddizione tra ordine asserito e disordine percepito, Qohelet riesce a trovare una via d'uscita originale: impossibilitato a comprenderne l'opera, l'uomo ha con un Dio lontano da lui una relazione reverenziale e un po' guardinga. Tuttavia, nei momenti in cui Dio gli dona quelle gioie quotidiane che fanno emergere il gusto e il senso della vita, il rapporto con Lui si colora di gratitudine e offre all'uomo indispensabili approdi di senso nel mare dell'assurdo in cui naviga.