Il dibattito pubblico italiano degli ultimi mesi è stato avvelenato: la necessità di armare la resistenza ucraina lo ha monopolizzato e il discorso pubblico si è polarizzato anche grazie al grande spazio concesso a improbabili cantori più o meno consapevoli del putinismo. In mezzo a questo scontro strumentale di civiltà hanno stentato a emergere le idee, l'etica e il rigore del pacifismo. Le ragioni della pace e del disarmo e le proposte pratiche fatte negli anni, ignorate e confinate nel campo dell'utopia in tempo di quiete, vengono trattate con sufficienza - se non dileggio - in tempo di guerra. Chi sono i pacifisti in Italia? Come hanno realizzato le proprie idee nel corso degli anni? In quali parti del mondo, con quali esperienze e lezioni apprese? Quali sono le contraddizioni con le quali il pacifismo deve fare i conti? Quanto costa la guerra e chi paga il conto? E quindi, a chi interessa soffiare sul vento della guerra? Un libro reportage per raccontare le storie e i protagonisti di un pensiero critico, alto e silenziato di cui ci sarebbe bisogno oggi più che mai.
Matteo Salvini ha preso in mano la Lega quando era immersa negli scandali. Oggi invece la Lega è viva e vegeta, governa molte regioni del Settentrione, fa alleanze in Europa con movimenti in ascesa come quello di Le Pen in Francia. Come ha fatto un giovane dirigente, dalle maniere ruvide e dalla grande efficacia televisiva, spesso preso in giro per le sue felpe usate come strumento di comunicazione, a mantenere la barra dritta, diventare un leader di livello nazionale, assomigliare sempre di più a un'alternativa al renzismo e al grillismo, oltre i perimetri del centrodestra berlusconiano? Matteo Pucciarelli, che per il quotidiano "la Repubblica" segue il fenomeno leghista, ha passato gli ultimi mesi a stretto contatto con Salvini, partecipando ai comizi, raccogliendone le dichiarazioni, familiarizzando con il suo ambiente. E in questo libro racconta tutto quello che c'è da sapere sul personaggio e sull'uomo, sul politico e sullo stratega, sul comunicatore e sull'amministratore di partito. Dalle prime frequentazioni al centro sociale Leoncavallo di Milano all'esperienza dei "comunisti padani", dall'abiura del secessionismo ai rapporti con l'estrema destra, passando per le aggiornatissime tecniche di comunicazione sulle reti social, emerge la figura di un politico che ha saputo approfittare di un vuoto epocale...
È stata la sorpresa delle ultime elezioni europee in Spagna e i sondaggi la proiettano oltre il 25%, prima forza politica del paese. Una esplosione che ha visto i suoi iscritti online arrivare in pochi mesi quasi a 300 mila. In Italia sono definiti "i grillini spagnoli". Se le somiglianze sono innegabili, le differenze però sono di più. Podemos nasce dalla rivolta contro la "casta", ma soprattutto dall'onda lunga del movimento degli indignados. Il suo gruppo dirigente proviene per formazione e cultura dal variegato mondo della sinistra radicale, e in Europa ha deciso di stare con il gruppo di Alexis Tsipras, di cui condividono il programma anti-austerity. Ma preferiscono presentarsi come "né di destra né di sinistra", privilegiando la metafora del "basso contro l'alto", del 99% contro l'1%. Nei circoli di Podemos non si trovano i poster di Che Guevara o del subcomandante Marcos ma solo manifesti viola, il colore della ribellione, con sopra un cerchio bianco a raffigurare il potere decisionale diffuso. "Di "unire la sinistra" non me ne importa nulla", ripete spesso il leader del movimento Pablo Iglesias, "noi siamo per l'unità popolare". Di fronte alla sconfitta storica della sinistra, preferiscono ripartire da zero. In un intreccio ideologico che tiene insieme Antonio Gramsci e il teorico populista Ernesto Laclau, le forme più classiche e assembleari dei movimenti con la centralità della rete, l'idea della democrazia diretta con un leaderismo molto forte. Prefazione di Moni Ovadia.