Come la "Vulgata" di San Girolamo - che non fu solo una traslitterazione testuale, ma un'ampia esegesi e commento del tradotto - questo libro non si limita esclusivamente a trattare la vicenda artistica del pittore Caravaggio, ma interviene filosoficamente su due grandi questioni storiografiche. La prima è l'analisi del metodo e delle finalità della "storia dell'arte" argomento sul quale l'autore si intrattiene nei prolegomeni; la seconda è lo studio del rapporto tra la cultura gesuita-iberica e il patrimonio controriformato post-tridentino. In tale secondo tema, che costituisce il fulcro dell'intero volume, l'autore analizza il mondo dei diversi ordini religiosi (gesuiti, carmelitani scalzi, domenicani, oratoriani) in relazione a tematiche quali penitenza, estasi e ratto, mettendo poi questi aspetti in connessione con i quadri di quel periodo. Se ne evince un Caravaggio che sceglie la "via secca", intellettuale, interiore, intima; vive la riforma cattolica transitando da un paganesimo estetizzante ad un misticismo corporeo - strettamente legato con la più solida tomistica - che aprirà la strada a Zurbaran, Bernini e Velàzquez. Ma le incongruenze sono insite proprio in questo processo: tradurre e tradire la Bellezza per giungere al Sacro. La crisi morale ed epistemologica che tanto condizionò il Caravaggio e la società di quel tempo, appare, agli occhi del lettore, estremamente attuale, foriera di una necessaria nuova "Vulgata".