Era uomo fuori dall'ordinario, Giuseppe Garibaldi: capo carismatico, rivoluzionario entusiasta, idealista che non si lasciò corrompere dal successo e dalla fama. Da morto, il potere lo trasformò in un mito, un 'santo laico' da manipolare per suscitare il consenso e l'entusiasmo delle masse popolari. Con ogni mezzo. In che modo Garibaldi divenne 'Garibaldi'? quando? e, soprattutto, perché? Lucy Riall racconta il primo emblematico caso di creazione pubblica di un eroe, concepito, costruito e promosso per divenire un simbolo.
"Triste missione per noi venuti a combattere per la libertà!". Parla Nino Bixio, il più intransigente comandante di Garibaldi. Ha appena assistito all'esecuzione dei cinque uomini considerati colpevoli dell'efferata rivolta di Bronte: nei primi giorni dell'agosto 1860, migliaia di contadini, bande di uomini e di donne, avevano saccheggiato, distrutto, rubato. In mezzo al fumo degli incendi, i proprietari terrieri e i loro funzionari trascinati fuori dalle loro case, torturati, uccisi, gettati nel fuoco. Bixio proclama lo stato d'assedio e ordina un generale disarmo. Il suo compito è di fare in modo che i processi a carico degli insorti comincino velocemente, ricorrendo ai decreti che consentivano ai tribunali militari di applicare procedure sommarie per reati contro l'ordine pubblico. Alla rivolta feroce si risponde con una repressione brutale. Ma Garibaldi non era un liberatore? Allora, perché i plotoni di esecuzione? Perché sono proprio i garibaldini a opporsi alle speranze contadine di ottenere terra e migliore qualità di vita? La rivolta di Bronte dura non più di sei giorni ma la sua fama è sopravvissuta a lungo. Le è stato attribuito un grande valore simbolico. Eppure ancora non la si conosce veramente. "Se consideriamo quanto profondamente Bronte sia collegata ai miti e ai contromiti di Giuseppe Garibaldi e dell'ammiraglio Nelson, al Risorgimento italiano, alla questione meridionale e all'Impero britannico, stupisce che la sua storia non sia stata oggetto di analisi più approfondite."
Il Risorgimento, fase cruciale di gestazione dell'Italia contemporanea, nella memoria collettiva di molti italiani è percepito come un periodo su cui non è più necessario interrogarsi, oppure come un dato da rimettere in discussione quanto alla sua epica tradizionale: l'eroico risultato delle gesta di un pugno di audaci che spezzarono il giogo straniero finendo immortalati nella toponomastica di tutte le città d'Italia. Le rivoluzioni risorgimentali dal 1820 al 1860 sconvolsero il sistema politico creato dal Congresso di Vienna, avviando tra i ceti dirigenti, e in parte anche tra le classi popolari, quel processo di "costruzione della nazione" che avrebbe gettato le fondamenta dello stato italiano. Fu un processo che si sviluppò fra limiti e difficoltà: la rottura fra moderati e democratici; la presenza dello Stato della Chiesa come fattore destabilizzante dell'unità appena ottenuta; il malcontento sociale, l'instabilità politica, l'endemico stato di rivolta delle campagne; un assetto assai tradizionale dei rapporti di produzione; e non da ultimo la presenza di un sistema economico geograficamente molto squilibrato. Questo volume è una ricostruzione storiografica che muove da un approccio per temi: dalla storia sociale dell'Italia preunitaria all'analisi delle ideologie nazionalistiche, dalle dinamiche dello sviluppo economico agli assetti politico-istituzionali dell'ancien regime, fino alle recenti acquisizioni della nuova storia culturale.
È stato una dei più popolari e longevi eroi politici del Risorgimento: Giuseppe Garibaldi (1807-1882) era certo uomo fuori dal comune, il cui fascino travalicava differenze sociali e frontiere nazionali. Rivoluzionario ai margini della politica, pressoché privo di sostegno ufficiale, era tanto odiato dalla Chiesa e dai tradizionalisti quanto amato dalle giovani generazioni e dagli esclusi. I giovani si arruolavano volontari per combattere al suo fianco, le donne della borghesia accorrevano per stargli vicino. Prendendo in esame la fase storica in cui l'impegno e la popolarità del generale furono più intensi, fra la metà degli anni Quaranta e gli anni Settanta dell'Ottocento, Lucy Riall analizza le motivazioni politiche che portarono alla creazione del mito di Garibaldi, il messaggio che incarnava e le forme della sua rappresentazione pubblica.