Data di pubblicazione: Marzo 2013
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Un testo su uno dei massimi cineasti viventi ancora in attività: Manoel De Oliveira.
Manoel de Oliveira (1908) - Tra i massimi cineasti viventi ancora in attività, la sua età è quasi quella del cinema e la sua opera ne ha attraversato scoperte, figure, mutamenti, nella costruzione di uno stile e di uno spessore filosofico che si traduce ogni volta in cristalline ed enigmatiche espressioni artistiche.
Il regista lusitano è Maestro di un cinema di pensiero entro cui si dipanano i valori dell’immagine, la costruzione dello spazio filmico, l’esplorazione del tempo e del gesto, l’interrogazione del linguaggio, la densità simbolica, la misura classica della poesia, il senso universale della storia, il sentimento del mistero, l’enigma della religiosità.
Nei suoi film la centralità del cinema nell’orizzonte del moderno si misura sul rapporto costante con le arti, dal teatro alla parola letteraria, dalla pittura alla musica. Il suo amore per la tradizione si accompagna a una inesausta tensione sperimentale. Ciò fin da un film-chiave della avanguardia cinematografica come Douro, lavoro fluviale (1931) e attraverso la forma singolare di realismo fantastico di Aniki-Bóbó (1942), passando per quello straordinario documento poetico di vita e verità che è Atto di primavera (1963) e per la rivelazione del sublime nella forma-melodramma della quadrilogia degli amori impossibili Il passato e il presente (1971), Benilde o la vergine madre (1975), Amor di perdizione (1978), Francisca (1981), arrivando a film estremi nella durata e nella ricchezza immaginaria come Le soulier de satin (1985), nelle sue sette ore, o come il folgorante apologo di Il mio caso (1986), interrogativo sul senso dell’arte nel mondo contemporaneo, realizzando meditazioni sui destini storici e sulle domande filosofiche dell’umanità come No, o la folle gloria del comando (1990), La Divina Commedia (1991), Parole e utopia (2000), Un film parlato (2003), Il quinto Impero (2005) e struggenti elegie sulle imperscrutabili vie di un amore che si incarna tra misticismo e desiderio, come in La valle del peccato (1993), I misteri del convento (1995), Inquietudine (1998), La lettera (1999), Il principio dell’incertezza (2002), Specchio magico (2005), Belle toujours - Bella sempre (2006), Singolarità di una ragazza bionda (2009).
Fino ad oggi il suo lavoro instancabile ci ha dato opere ogni volta sorprendenti, fino a giungere, come avviene in Lo strano caso di Angelica (2010) e in O Gebo e a Sombra (2012), alla capacità di filmare l’invisibile, di spingere lo sguardo oltre lo specchio, laddove il cinema e la vita sembrano congiungersi in una visione limpida e insieme arcana.
Bruno Roberti (Napoli, 1955) - Critico cinematografico, docente di “Istituzioni di regia” e “Stili di regia cinematografica” all’Università della Calabria. Studioso di cinema e teatro, regista, sceneggiatore, curatore di festival e rassegne.
Ha studiato al Dams di Bologna e al Centro Sperimentale di Cinematografia.È membro del direttivo delle riviste «Filmcritica» e «Fata Morgana», dove ha pubblicato numerosi saggi. È stato redattore esperto per l’Enciclopedia del Cinema Treccani diretta da Enzo Siciliano, e collabora come autore con l’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani per la stesura delle voci di argomento cinematografico.
È autore di saggi sul lavoro di registi come Raoul Ruiz, Mario Martone, Abbas Kiarostami, Wim Wenders, John Boorman, Julio Bressane, Roman Polanski, Amos Gitai, Stanley Kubrick, Martin Scorsese, Clint Eastwood, Manuel de Oliveira, João César Monteiro.
Tra le sue pubblicazioni recenti: Cinema Alchimia Uno (Bari, 2012), Ruiz Faber (con E. Bruno, L. Esposito e D. Turco, Roma, 2007), Senso come rischio (con L. Esposito e D. Turco, Recco, 2010), Spazio Wenders (con R. De Gaetano e E. Arnone, Cosenza, 2009), Morfologie dell’Iguana: Anna Maria Ortese tra cinema e letteratura (con M. Ganeri, Cosenza, 2011).
Ha scritto per il cinema le sceneggiature dei film Domenica (2001) di Wilma Labate, Il diario di Matilde Manzoni (2002) di Lino Capolicchio, ed è stato collaboratore artistico del film L’Iguana di Catherine McGilvray (2003).
Un testo su uno dei massimi cineasti viventi ancora in attività: Manoel De Oliveira.
Manoel de Oliveira (1908) - Tra i massimi cineasti viventi ancora in attività, la sua età è quasi quella del cinema e la sua opera ne ha attraversato scoperte, figure, mutamenti, nella costruzione di uno stile e di uno spessore filosofico che si traduce ogni volta in cristalline ed enigmatiche espressioni artistiche.
Il regista lusitano è Maestro di un cinema di pensiero entro cui si dipanano i valori dell’immagine, la costruzione dello spazio filmico, l’esplorazione del tempo e del gesto, l’interrogazione del linguaggio, la densità simbolica, la misura classica della poesia, il senso universale della storia, il sentimento del mistero, l’enigma della religiosità.
Nei suoi film la centralità del cinema nell’orizzonte del moderno si misura sul rapporto costante con le arti, dal teatro alla parola letteraria, dalla pittura alla musica. Il suo amore per la tradizione si accompagna a una inesausta tensione sperimentale. Ciò fin da un film-chiave della avanguardia cinematografica come Douro, lavoro fluviale (1931) e attraverso la forma singolare di realismo fantastico di Aniki-Bóbó (1942), passando per quello straordinario documento poetico di vita e verità che è Atto di primavera (1963) e per la rivelazione del sublime nella forma-melodramma della quadrilogia degli amori impossibili Il passato e il presente (1971), Benilde o la vergine madre (1975), Amor di perdizione (1978), Francisca (1981), arrivando a film estremi nella durata e nella ricchezza immaginaria come Le soulier de satin (1985), nelle sue sette ore, o come il folgorante apologo di Il mio caso (1986), interrogativo sul senso dell’arte nel mondo contemporaneo, realizzando meditazioni sui destini storici e sulle domande filosofiche dell’umanità come No, o la folle gloria del comando (1990), La Divina Commedia (1991), Parole e utopia (2000), Un film parlato (2003), Il quinto Impero (2005) e struggenti elegie sulle imperscrutabili vie di un amore che si incarna tra misticismo e desiderio, come in La valle del peccato (1993), I misteri del convento (1995), Inquietudine (1998), La lettera (1999), Il principio dell’incertezza (2002), Specchio magico (2005), Belle toujours - Bella sempre (2006), Singolarità di una ragazza bionda (2009).
Fino ad oggi il suo lavoro instancabile ci ha dato opere ogni volta sorprendenti, fino a giungere, come avviene in Lo strano caso di Angelica (2010) e in O Gebo e a Sombra (2012), alla capacità di filmare l’invisibile, di spingere lo sguardo oltre lo specchio, laddove il cinema e la vita sembrano congiungersi in una visione limpida e insieme arcana.
Bruno Roberti (Napoli, 1955) - Critico cinematografico, docente di “Istituzioni di regia” e “Stili di regia cinematografica” all’Università della Calabria. Studioso di cinema e teatro, regista, sceneggiatore, curatore di festival e rassegne.
Ha studiato al Dams di Bologna e al Centro Sperimentale di Cinematografia.È membro del direttivo delle riviste «Filmcritica» e «Fata Morgana», dove ha pubblicato numerosi saggi. È stato redattore esperto per l’Enciclopedia del Cinema Treccani diretta da Enzo Siciliano, e collabora come autore con l’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani per la stesura delle voci di argomento cinematografico.
È autore di saggi sul lavoro di registi come Raoul Ruiz, Mario Martone, Abbas Kiarostami, Wim Wenders, John Boorman, Julio Bressane, Roman Polanski, Amos Gitai, Stanley Kubrick, Martin Scorsese, Clint Eastwood, Manuel de Oliveira, João César Monteiro.
Tra le sue pubblicazioni recenti: Cinema Alchimia Uno (Bari, 2012), Ruiz Faber (con E. Bruno, L. Esposito e D. Turco, Roma, 2007), Senso come rischio (con L. Esposito e D. Turco, Recco, 2010), Spazio Wenders (con R. De Gaetano e E. Arnone, Cosenza, 2009), Morfologie dell’Iguana: Anna Maria Ortese tra cinema e letteratura (con M. Ganeri, Cosenza, 2011).
Ha scritto per il cinema le sceneggiature dei film Domenica (2001) di Wilma Labate, Il diario di Matilde Manzoni (2002) di Lino Capolicchio, ed è stato collaboratore artistico del film L’Iguana di Catherine McGilvray (2003).